Il sindaco di Bologna Virginio Merola si è «innamorato» (artisticamente) di Ezio Bosso, onesto musicista dalle intenzioni vivaci, probabilmente frenate dalle sue condizioni fisiche. Intervenendo, non sarà più di un paio di mesi orsono, sul tema delle difficoltà economiche in cui il teatro comunale versa, cosa normalissima per questa tipologia dello spettacolo, l’opera, che compete solo col circo per dispendiosità e scialo, il primo cittadino ipotizzò che Bosso potesse essere il toccasana di questa istituzione che da secoli di ciò soffre e da altrettanto tempo non trova una medicina.

Merola avrebbe invece individuato nel musicista torinese il toccasana locale, ma per fortuna nessuno l’ha seguito, nemmeno dall’artista tirato in mezzo. Una figura assai popolare nella scomposta scena delle musiche, sulla quale, se non distinguiamo tra genere e genere dovrebbero stare tutti insieme Albano, Berio, Carter, Dalla, Donatoni, T. Monk, Mannoia, Scodanibbio, Adams, Goebbels, Monteverdi, C. Taylor, Bartok e mille altri, comprendendovi ora anche i dj con la loro musica elettronica.

Bosso comunque è stato chiamato al comunale a coprire un ruolo – il direttore ospite – che forse è più onorifico che funzionale, comunque avrà il peso che le fortune del pianista e compositore riusciranno a ottenergli. Merola dice che la musica: «deve essere libera». Chissà da che? Bosso aggiunge che il coro e l’orchestra sono una comunità e che quest’ultima starebbe al fondamento di tutta la musica. Forse per questo ha scelto, a quanto dice, il programma del suo concerto inaugurale domani sera insieme agli orchestrali. Ne è saltata fuori la stessa ovvietà, più o meno, che caratterizza i concerti passatempo, con l’italiana di Mendelssohn, Fratres di Arvo Paert, un po’ di Bach e l’adagio per archi, gran pizza di Barber, oltre a due pagine di Bosso per pianoforte ed archi. I proventi del concerto andranno ai terremotati dell’Umbria.

Incontro Ezio Bosso dopo una delle prove e non stento a ottenerne la simpatia umana, anche se forse egli si aspetterebbe da me qualche richiamo alle cose sanremesi che l’hanno reso noto e quasi un divo tra i consumatori di tv. Gli chiedo di elencarmi un po’ di musiche fondamentali, una decina e di dirmi perché, ma egli si cela dietro all’imbarazzo di dover scegliere: «Dalle mie prime memorie so che la musica ha segnato la mia vita, poi anche politica, o sviluppato un pensiero. Da Bach a Beethoven, a Liszt, a Chopin, Cage, Cecul Taylor, Pete Townshed o i Jam, Glass o i Morphine e la lista sarebbe ancora lunga».

Ma vorrei sapere se c’è almeno un musicista che l’abbia impressionato più profondamente; egli è deciso nel dichiarare «Claudio Abbado». Questa scelta mi sembra un po’ strana oggi, quando un direttore può essere mediazione o sommatoria di quel che han già fatto altri: le registrazioni appiattiscono le originalità, ma visto che il mio interlocutore aspira ad affermarsi anche come direttore d’orchestra,passo a altro argomento e gli chiedo se ritenga che ci sia un’epoca musicale migliore delle altre. «No» risponde, ma afferma che la presente è «la meno produttiva e creativa; in assoluto la più reazionaria». Gli chiedo se si sente artista o showman: «Artista è una qualifica che dovrebbe essere data solo postuma, per quel che riguarda la musica. Io – dice – mi sento una persona».

Torno sul festival della canzone italiana per chiedergli se ha un senso e soprattutto se la «canzonetta» è un genere vivo, ci migliora: «Non sono un particolare amante delle canzoni – mi dice, non le capisco abbastanza bene. Dopo di che qualsiasi forma creativa porti benessere a qualcuno ha comunque la mia stima umana».