In futuro, quando gli storici analizzeranno le personalità politiche e religiose della seconda metà del XX secolo e dell’inizio del XXI, sicuramente dovranno metterne in evidenza due, entrambe formate nelle scuole dei Gesuiti: Fidel Castro e papa Francesco.

In Cile, all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, quando alcuni leaders del partito radicale, tradizionalmente massoni e anticlericali, dichiararono che l’Ordine dei Gesuiti era «anacronistico», la rivista gesuita “Messaggio” replicò così nel suo editoriale: «Come si può fare tale affermazione quando un ex alunno dei gesuiti ha fatto la prima rivoluzione socialista dell’America?».

Se Fidel, con la Rivoluzione cubana, ha dato inizio a una nuova fase della storia politica dell’America latina, papa Francesco, per molti osservatori, sta facendo passi verso profondi cambiamenti nella Chiesa cattolica, passi che provocano allarme in gruppi di potere conservatori, religiosi compresi. Così non stupisce che Fidel dichiari, come ha fatto nei primi giorni di febbraio incontrando il presidente della Federazione studenti universitari dell’Avana, la sua «profonda ammirazione» per il pontefice e riconosca il peso del Vaticano e della Chiesa cattolica nell’attuale fase di abbattimento dell’ultimo muro della guerra fredda, quello tra Usa e Cuba.

Dal gennaio dell’anno scorso il maggiore dei Castro non compariva in pubblico e le sue ultime immagini risalivano a sei mesi fa. Fatti questi che hanno alimentato le voci – e le speranze – provenienti da ambienti anticastristi di Miami che il leader della Rivoluzione cubana fosse morto. Il lungo incontro con il dirigente studentesco Randi Perdomo Garcia e le relative foto dimostrano non solo che Fidel è vivo, ma che continua a occuparsi di una serie di grandi temi, scientifici e ambientali, oltre che politici. Temi che riguardano anche questioni di natura filosofico-religiosa sul futuro dell’umanità.

Anche riferendosi a questa circostanza, il frate domenicano brasiliano Betto, dopo aver incontrato alcuni giorni fa il Comandante per una discussione ad ampio spettro, ha riferito della «profonda ammirazione» espressa da Fidel Castro per papa Francesco. Frei Betto nel 1985, dopo una serie di conversazioni col maggiore dei Castro, scrisse il libro “Fidel e la religione”, dove il leader della rivoluzione cubana afferma di credere «che più di una volta vi siano stati gesuiti di sinistra» e dove ribadisce con orgoglio di essersi formato «nel collegio Belen dei gesuiti dell’Avana, il migliore di tutta Cuba».

Come altri allievi del collegio Belen, anch’io mi sono soffermato davanti alle foto della scuola, compresa quella di Fidel, dei presidenti dell’Accademia letteraria “Gertrudis Gomez de Avellaneda” diretta da un professore del collegio, dove il futuro leader rivoluzionario dette le sue prime prove di grande oratoria.

Per molti osservatori, papa Francesco sta dando nuovo impulso agli accordi del Concilio Vaticano II, convocato nel 1962 dal pontefice Giovanni XXIII, per molti il “papa buono”, per i conservatori il “papa rosso”. Grazie all’iniziativa di Francesco e all’opera di mediazione (tuttora in corso) del Vaticano e della Chiesa cattolica cubana si è prodotto lo storico avvicinamento tra Stati uniti e Cuba, annunciato dai presidenti dei due paesi lo scorso 17 dicembre. Molti nell’isola, cattolici e non, si augurano che tale “sintonia” possa favorire un prossimo incontro a Cuba tra le due grandi personalità, fatto che rappresenterebbe uno avvenimento storico per l’America latina.

Nel processo in corso, che entrambe le parti riconoscono essere «lungo e complicato e difficile», la mediazione della Chiesa e del movimento laico cattolico cubano sono fondamentali, specie per quanto riguarda la richiesta, chiaramente avanzata dalla Casa bianca, che nel processo di riforme nell’isola debba partecipare anche «la società civile». Dove la presenza della Chiesa è consolidata e si presenta come un fattore critico, ma non ostile al socialismo cubano.

Nel quotidiano dei giovani del partito comunista cubano, “Juventud rebelde”, raccontando del suo lungo incontro col lider maximo, Perdomo non usa giri di parole: «Fidel è un fuoriclasse», un leader che ha pochi paragoni e che è «entrato nella leggenda» e non solo in America latina. Lo stesso si potrebbe affermare di papa Francesco che ha appena fatto un passo importante per il subcontinente latinoamericano, come dichiarare «martire» della Chiesa l’arcivescovo salvadoregno Arnulfo Romero, assassinato nel 1980 mentre officiava una messa, per ordine dell’estrema destra militare, che vedeva nel prelato un sostenitore della lotta di liberazione del suo popolo. Il papa ha così approvato il processo di beatificazione di Romero, che si spera possa essere concluso entro l’anno, salutato come un «fatto storico» da quella parte del clero cattolico latinoamericano impegnata in politiche sociali.