Alla riunione dell’Ecofin di martedì scorso a Bruxelles i ministri delle finanze dell’Unione Europea hanno deciso di accogliere i suggerimenti proposti dalla Commissione e di aprire la procedura per comminare sanzioni a Portogallo e Spagna rei di non essere stati in grado di ridurre il deficit al di sotto dei tetti prestabiliti. Ora la palla passa nuovamente alla Commissione che entro 20 giorni dovrà decidere come muoversi: con una multa pari 0,2% del Prodotto interno lordo – quasi 400 milioni di euro – oppure con il congelamento temporaneo dei fondi comunitari. Potrebbe, perché non è ancora chiaro quale sarà la scelta che la Commissione prenderà e molto probabilmente, per questa volta, le sanzioni non ci saranno o saranno poco più che simboliche.

Tuttavia, anche in assenza di un castigo concreto, gli effetti sulla politica interna non saranno nulli. In questo senso le parole del presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem – intervistato per la Sic Tv – sono molto eloquenti: «Ora bisogna capire quale sarà la posizione che prenderà in materia la Commissione e quali saranno le proposte che Portogallo e Spagna faranno. Come sapete (riferendosi ai due paesi iberici) hanno dieci giorni per reagire alla minaccia di sanzioni e speriamo che sia una reazione offensiva nella quale si parlerà di ciò che sarà fatto per risolvere i problemi e non meramente difensiva». Tutto sommato una linea non molto differente da quella espressa dal ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble per cui le sanzioni hanno un effetto pedagogico positivo perché incentivano comportamenti virtuosi tra cui, il più importante, è quello della correzione del deficit già nel 2017.

In sostanza, per riassumere, i termini della questione sono questi: la procedura di infrazione la si apre perché i conti non rispettano quanto stabilito nei trattati, ma se le proposte per rettificare il bilancio saranno soddisfacenti allora, forse, le minacce resteranno tali. Eppure, per 4 anni, dal 2011 al 2015 – il periodo in cui al governo c’era il centro destra – il Portogallo era considerato l’alunno buono dell’Europa, quello che in sostanza adempieva pedissequamente a tutte le imposizioni che arrivavano dalla Troika. Questo, vale la pena ricordarlo, nonostante non ci sia stato un anno in cui il deficit effettivo sia stato al di sotto o pari agli obiettivi previsti. Ora l’alunno buono deve essere punito a meno ché non dimostri di essere tornato ad essere ubbidiente, questo indipendentemente, o quasi, dai risultati ottenuti.

Il centro destra, pur considerando illegittime le sanzioni, per il momento si limita a criticare la superficialità e l’incompetenza con cui il governo Frentista avrebbe gestito tutta la procedura di infrazione. Unica voce dissenziente, da indiscrezioni divulgate dal quotidiano Publico, è quella dell’ex presidente della Repubblica – centro destra – Aníbal Cavaco Silva che, nella riunione del Consiglio di Stato, avrebbe fatto affermazioni implicitamente favorevoli a quanto deciso da Ecofin.

A questo punto la navigazione per il governo Costa si fa decisamente più turbolenta perché senza ulteriori misure restrittive la Commissione potrebbe mostrare il suo volto più severo. Dall’altro lato per il Be e il Partido Comunista Português (Pcp) accettare di sostenere una maggioranza che rinunci ad attuare politiche redistributive è, ovviamente, fuori questione. Ora, secondo il primo ministro, due sono gli scenari verosimili: o la Commissione rimanda tutto al 2017 per verificare se effettivamente l’ultima legge di bilancio va nella direzione prestabilite dal Fiscal Compact, oppure potrebbe decidere per delle sanzioni molto basse.

Il punto centrale di tutta la vicenda è che i trattati di bilancio firmati nel 2012 sono una potente arma di ricatto, peraltro molto discrezionale, utile a plasmare in un modo o nell’altro le politiche dei vari stati membri. Catarina Martins, coordinatrice del Bloco de Esquerda (Be), lo dice apertamente: «È chiaro che il Portogallo non può aspettarsi un’ipotetica solidarietà da ipotetici partners europei, il quadro istituzionale delle sanzioni non permette solidarietà ma solo imposizione di regole».

Insomma «il processo delle sanzioni è un attacco alla democrazia, un attacco alla possibilità del paese di decidere cosa fare della sua vita collettiva. Il processo delle sanzioni è stato aperto per attaccare quello che è stato il risultato espresso in elezioni a ottobre e che ha permesso una nuova maggioranza parlamentare».