Non sanno, i narratofagi esclusivi, quanto piacere possa riservare la lettura di autobiografie, diari, carteggi: non per trarne il mero punto di vista testimoniale, ma per il pullulare di esistenze che di lì si può riuscire a pronosticare. Però, se l’immaginazione non sa prendere corpo e sostanza, un carteggio lascia troppo margine all’interrogare inevaso, è uno spazio lacunoso. A rimediare e a ricomporre il quadro possono intervenire le gioie dell’erudizione: scavo accurato di dati, loro connessione, riscontri incrociati.

Esce ora un carteggio che, per chi sappia pesare i nomi dei corrispondenti, è il rapporto di un’intensa amicizia – l’incontro di due modi di concepire la vita e di viverla –, una scala di misura dal doppio centro e, infine, un’idea di letteratura. Il frontespizio reca: Carlo Emilio Gadda-Goffredo Parise, «Se mi vede Cecchi, sono fritto» Corrispondenza e scritti 1962-1973 (Adelphi «Piccola Biblioteca», pp. 346, euro 18,00). Il volume consta di quindici lettere di Gadda a Parise, tre di Parise a Gadda e una, riguardante Gadda, di Parise a Valentino Bompiani; infine quattro scritti di Parise su Gadda e un dialogo tra i due. Il resto del libro, il tessuto connettivo tra questi frammenti di vita, una doppia biografia con ricognizione di contesti per sparse membra, è del curatore, Domenico Scarpa, che ha trasformato l’erudizione in folta ricostruzione critica, intricata di richiami, piste, accertamenti, spie.

Gadda e Parise sono separati all’anagrafe da trentasei anni: il lombardo Gadda, classe 1893, il veneto Parise, 1929. Si incontrano nel ’58, quando l’uno ha più del doppio degli anni dell’altro: Gadda lascia appena alle spalle il Pasticciaccio, la cui stesura ha protratto per anni nel tentativo, rivelatosi vano, di riuscire a sbrogliarne la matassa gialla; Parise è segnato da una partenza rapidissima, una rivelazione ribadita: da ventiduenne, con Il ragazzo morto e le comete; da ventiquattrenne, con La grande vacanza: due libri che, si direbbe nelle arti dello spettacolo, non sono più usciti di repertorio. Uno scrittore di genio, se no non ne avrebbero accompagnato la crescita umana Prezzolini, Montale, Comisso.

Nel ’61 Gadda e Parise sono vicini di casa a Roma, la frequentazione si fa intensa, tra Monte Mario, dove abita Parise, e via Blumenstihl 19. La cartella delle lettere superstiti copre meno di un anno, da fine ottobre ’62 a fine agosto ’63. Sono gli anni in cui, secondo un ricordo condiviso (Arbasino, Citati…), qui nella versione di Attilio Bertolucci, al suono dei Beatles, «il ragazzaccio» che sempre stava in Parise, portando in automobile per Roma l’Ingegnere, «rispuntava fuori nei sorpassi: il gran lombardo sudava, zitto, trattenendo il fiato, mimando, senza farsene accorgere, una sorta di finta, esorcizzante, immaginaria frenata». Gadda prende congedo dalla terra nel 1973, Parise nel 1986.

Nel 1973 proprio, quando l’Ingegnere, l’uomo di tutte le paure, scrive Parise, non ha più «ragione di temere nessuno, perso come è nella definitiva contemplazione del proprio io senza più bufere», ora insomma che «la chiacchiera da lui tanto amata potrebbe diventare lecita», Giulio Cattaneo pubblica un volumetto su Gadda, insieme memoria e biografia, con gran gusto dell’aneddoto: il titolo, di ascendenza manzoniana, proverbiale, è Il gran lombardo. Parise, con quella che si deve pur definire una commozione divertita, prende spunto e racconta così del sorpasso: dal 1961, scrive, «si stava spesso insieme, si andava a fare qualche giro in campagna nella mia automobile che era una MGb, spider, rossa.

Non lo spaventava apparentemente, né il tipo di macchina, a due posti, né la velocità. Lo spaventava piuttosto il fatto che avendo io una compagna egli prendesse il suo posto. Le regalò un’enciclopedia britannica dai molti volumi, che viaggiarono in lunghi viaggi da casa sua a casa mia, per scusarsi. Ne riebbe un dono di plaid scozzese, che ricambiò con pranzi che vennero ricambiati con bottiglie di vino, ricambiate a loro volta con dubbi di non aver ricambiato abbastanza. Temeva anche di essere visto, e criticato, a bordo di quella macchina. Qualche volta diceva: “Se mi vede Cecchi sono fritto”».

Sarà mai finito lo scrupolo, nella mente di quell’uomo cerimonioso come se solo nella cerimoniosità potesse trovare pace momentanea e illusoria ciò che Freud cercò di spiegare per tutta la sua opera? Forse in Gadda la cerimoniosità era un tentativo di adattamento della specie, un fenomeno che avrebbe interessato Darwin, e che infatti interessava il darwiniano Parise, diventato tale per impulso di Gadda.

Ad ogni modo, mentre Gadda temeva di essere passato in padella dal Gran sacerdote della critica, ritenuto o maldicente o incapace di interpretare il senso di un uomo seduto al posto di una donna in un’auto rossa lanciata a grande velocità, troppo parafuturista, troppo mito della modernità, «avvenne che un giorno, – qui Parise sembra un novelliere antico che avvii a conclusione il racconto di una burla riuscita, ed è un modo tipico anche dei Sillabari – un brigadiere dei carabinieri si fermò ad esaminarla e a lodarla.

Chiese a Gadda: “Quanto fa?”. Gadda mi guardò, guardò il contachilometri e compose una sua risposta sibillina con inchino: “Pochino…, il contachilometri segna duecento”». Perché ciò avrà chiesto il brigadiere non a Parise ma a Gadda? Non occorre perizia astrologica per rispondere: destino: Gadda doveva liberarsi, come Pinocchio, dai carabinieri e dal pentolone dell’olio bollente. «“Però” disse il brigadiere, salutò e scomparve. Gadda commentò: “Piace ai carabinieri. E se piace ai carabinieri perché non dovrebbe piacere a Cecchi?”». Uomo d’ordine, Cecchi, vigilante: quando La cognizione del dolore vince nel 1963 il Prix International des Éditeurs, scrive un articolo che mano ignota titola È venuto il suo anno: chissà, scrive Scarpa, «quale funesto rintocco poté cogliere, in un titolo del genere, Gadda».

E uomo d’ordine Gadda, che a Parise or ora tornato da Parigi, corre l’anno 1968, chiede se ha visto qualcosa: «“Anche le barricate?” bofonchiò. “Anche le barricate”. “Le barricate!…” bofonchiò, “le barricate!… avrei voluto vederli, sull’Altopiano, con le Saint-Étienne…”», le mitragliatrici francesi in dotazione all’esercito italiano, sulle quali, ricorda Scarpa, Gadda apre il «Giornale di guerra per l’anno 1916».

Era uno dei modi in cui il conservatore dialogava con l’anarchico, bilanciando come cerimonia esige, lasciando aperte tutte le vie all’interpretazione dei contemporanei e dei posteri; fin dall’inizio dell’amicizia, secondo una testimonianza, Parise gli pareva «uno squisito esempio dell’intellettuale indipendente, poco influenzabile dai tanti sostenitori del costituendo centrosinistra e, del resto, anche più allergico alle obiezioni dei detrattori della nuova alleanza politica».

Gadda e i doni, si è visto: però almeno uno fece un solo viaggio «per raccomandata espresso» alla vigilia del Natale del 1962: «un esiguo assegno circolare e intrasferibile, Credito italiano Roma sede, n.º 12/605.860, per panettone o pandòro o ricciarelli e… qualche liquido: pensavo al Carpéné o al Courvoisier da voi con tanta gentilezza offertomi il Natale scorso».

Poco mancava, ripagando dopo un anno la bevuta, che, come altre volte, il cerimonioso si pentisse per l’importo inadeguato in sé e rispetto ai destinatari: da tenersi in maggior conto, quale che fosse la cifra; stavolta dell’assegno smarrito scrive: «la libellula era così tenue che ho avuto vergogna a dirtene il peso».