Il teatro Galleria Toledo – inaugurato nel 1991 col film “Le cinque rose di Jennifer” di Tomaso Sherman dal testo di Annibale Ruccello – è arroccato sui Quartieri Spagnoli di Napoli, in cima alla ripida salita di via Concezione a Montecalvario. Simbolicamente, tale ubicazione permette di osservare la realtà da una postazione più alta e altra; uno spazio che ha ospitato Compagnie, attori, drammaturghi, studiosi di diversa provenienza. Costantemente, Laura Angiulli (direzione artistica) e Rosario Squillace (direzione organizzativa) hanno creato un centro di formazione e un osservatorio teatrale permanente. Un teatro liminare, dello s/confino che prosegue il proprio percorso “in direzione ostinata e contraria”; un luogo utopistico-visionario che propone una nouvelle prospettiva teatrale che si può sintetizzare con una citazione del poeta della scena, Antonio Neiwiller: “Le cose grandi svaniscono. Sono quelle piccole che durano. Bisogna tornare alle basi principali della vita”.

Laura, cosa t’ha spinto a inaugurare 25 anni fa un teatro sui Quartieri Spagnoli? Ci vuole molto coraggio ma soprattutto tanta passione!

La necessità di avere un luogo stabile per portare avanti con agio e possibilità di approfondimento l’attività di produzione teatrale, sottraendola all’occasionalità dei luoghi e dei tempi, e non solo. La Cooperativa era molto attiva negli interessi e nell’attenzione per le tante discipline dello spettacolo culturale, e già poneva in essere in residenze d’occasione rassegne e progetti, per materie affini alla linea di ricerca che la definiva. In giro c’era molto da vedere, una stagione densa di stimoli, era interessante seguirne i movimenti e immaginare l’attività di programmazione presso un teatro proprio. Decidemmo di cercare un luogo che in qualche modo ci somigliasse, e in alcuni anni di disperatissimo impegno inventammo Galleria Toledo.

Con chi è stato possibile condividere la tua Idea-Teatro?

Con Rosario Squillace innanzi tutto – tuttora molto attivo -, le mie figlie Marita, Lavinia e Alessandra D’Elia, Giogiò Franchini, poco dopo Cesare Accetta e Francesco Armitti – autore della linea grafica che caratterizza il progetto di promozione, ma tanti sono gli apporti che abbiamo raccolto e ancora raccogliamo da artisti e figure di cultura a noi vicini. Voglio ricordare Renato Musto, Amato Lamberti, Oreste Zevola, gli amici che hanno dato molto e non ci sono più.

Galleria Toledo nasce dalle ceneri del cinema Cristallo che il Comune di Napoli aveva acquisito e trasformato in una ‘cattedrale’ di rifiuti, ufficialmente deposito della Nettezza Urbana. Tutto ciò non ti rimanda alle parole di Faber: “Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fiori”?

Naturalmente sì, se s’investono audacia, creatività, lavoro, complessivamente spirito d’impresa con tutto quanto ne viene di conseguenza. In effetti, della struttura iniziale s’è conservato poco o niente: abbiamo demolito fino a vuotare del tutto l’assetto interno dell’antico cinema, e abbiamo costruito a partire da zero quella che è oggi Galleria Toledo. Abbiamo voluto che ci somigliasse, che rappresentasse di per sé un’opera creativa. Ci sono voluti circa 5 anni di lavoro, dal momento dell’acquisto all’inaugurazione: 21 aprile 1991.

Nel corso degli anni, che tipo di rapporto hai instaurato con la gente del quartiere?

Da subito, un ottimo rapporto. Galleria Toledo non è un teatro di quartiere nei termini convenzionali del dire, è un luogo per programmazione d’eccellenza, per pubblico di qualità e quasi quotidiana presenza di studenti per continuato, proficuo rapporto con le scuole secondarie e le università. Il particolare tipo di programmazione, non dichiaratamente popolare, non richiama solitamente il pubblico locale, che piuttosto guarda alla struttura come un bene che dà prestigio ai luoghi – già di per sé resi prestigiosi dalla storicità dei così detti Quartieri Spagnoli – e in quanto tale l’accoglie e la rispetta. Tuttavia, in più occasioni sono stati dedicati ai ragazzi del luogo iniziative specifiche, e per un periodo piuttosto lungo la redazione di un giornale dei ragazzi, poi abbandonato – come altro – per mancanza di risorse.

Galleria Toledo diventa subito un riferimento per il teatro di ricerca. Ricordiamo il compianto Antonio Neiwiller, il Living Theatre, l’Odin Teatret, Peter Brook, per citarne solo alcuni. Attualmente il tuo Spazio rimane un presidio stabile di arti, un luogo in cui esporre esperienze di vari linguaggi, soprattutto teatro, ma anche musica, cinema, danza. La cultura è un antidoto al degrado e all’illegalità?

Credo l’unico. Infatti sono molto critica verso quelle attività ludiche che assecondano il solo desiderio di svago, senza inclinazione verso traguardi più significativi. Sono certa che un progetto educante, nei termini più generali di stimoli che possano provenire da più parti, debba integrare piacevolezza e sollecitazione di pensieri; e che per ciascun soggetto, giovane o adulto che sia, l’evoluzione dell’atteggiamento etico – indispensabile argine all’immiserimento degli obiettivi di riferimento all’agire –, con tutto quello che ne consegue nello sviluppo della persona, debba passare inevitabilmente attraverso un intenso e continuato arricchimento umanistico. Ovviamente, per i più giovani il ruolo della scuola è determinante al servizio di tale funzione, ma il teatro, e le arti in genere, possiedono ampie potenzialità d’integrazione al percorso, per altro rese più agevoli dall’intrinseca capacità di seduzione, proprie delle discipline.

Hai sempre prediletto il confronto con le nuove generazioni. Lavori, infatti, molto con le scuole e riconosci nella forma laboratoriale la dimensione ideale in cui sperimentarsi e definirsi. Credi che fare formazione sia l’unica strada praticabile per plasmare e stimolare sia il pubblico che gli attori per allontanarli dall’affaire-théâtre?

Mi appassiona molto la funzione docente, soprattutto se dedicata a soggetti giovani, che mi piacciono veramente molto; credo che i ragazzi delle ultime generazioni possiedano gli elementi necessari a una crescita consapevole, rivolta a obiettivi di valore con curiosità e passione. D’altra parte, anche il dispiegarsi del mio metodo di regia contiene significativi aspetti della didattica applicata: lavorare a lungo sull’analisi del testo e lo sviluppo dei personaggi, richiedere l’approccio alla saggistica critica relativa all’opera da allestire, seguire l’inclinazione degli attori nel condurli a risultati apprezzabili. L’itinerario di un allestimento è nient’altro che un laboratorio tematico, un percorso di metodo di cui l’attore può appropriarsi con vantaggio.

La dilagante débâcle cultural-teatrale che attraversa Napoli (e non solo) rispecchia la superficialità intellettuale delle istituzioni politiche e dei loro mandatari. Leo de Berardinis affermava: “Il teatro, come arte della relazione, è anche contro le barriere politiche ed economiche di un’ignoranza, come dire, imposta. […] Il Teatro deve tornare a essere una cosa preziosa. Per la prefigurazione di nuovi mondi possibili”. Non pensi, dunque, sia giunto il momento – seguendo la traccia di Pasolini, Neiwiller, Leo –, di proporre una progettualità teatrale con un  Manifesto programmatico contrapposto alla pseudoculturateatrale e al teatro/spettacolo Lobbyzzato et Lottizzato?

Condivido il pensiero di Leo, le mie scelte sono in assoluta sintonia. Seguo da anni una linea di lavoro orientata piuttosto verso uno specialismo, e questo mi è stato utile non solo per l’attraversamento di materie di straordinarie densità poetiche, ma anche per la modalità della ricerca che ha appreso a gestire strutture complesse nella sintesi del racconto scenico. E poi intorno alla continuativa attività d’allestimento s’è costituita una Compagnia pressoché stabile, in costante crescita d’esperienza, con accoglienza di alcuni giovanissimi attori. Questo soprattutto mi sembra straordinariamente importante per la condivisione di un’idea di teatro. Mi dici di un manifesto. L’attività di Galleria Toledo è di per sé un manifesto, nelle scelte produttive e d’ospitalità. Molte Compagnie affatto sconosciute, negli anni, sono state opportunamente accompagnate dal nostro lavoro nella promozione presso un pubblico generalmente poco curioso verso il “nuovo”. Ancora oggi guardiamo con fiducia a quanto ci appare emergente nel panorama giovane, con la stessa attenzione e sollecitudine, nell’auspicio di sorprendenti scoperte; lo speriamo ancora, in tempo di ridotta creatività produttiva. Una strada difficile, spesso poco premiata in termini d’affluenza di pubblico, ma che dà senso e spessore al progetto Galleria Toledo, in difesa di una specificità di scelte affidate alla qualità d’offerta, senza cedimenti. Dalle istituzioni – che dire? – vorremmo di più, almeno il riconoscimento istituzionale di quello che veramente siamo e veramente rappresentiamo, al servizio del teatro nell’identità d’impresa culturale stabile.

Dopo le riletture di Shakespeare e l’allestimento di “Cassandra – Variazione sul mito n. 2”, quali sono i prossimi impegni e/o progetti?

Ancora teatro elisabettiano. Subito. Per un’ipotetica lettura comparata: Edoardo II di Christopher Marlowe, Riccardo II di William Shakespeare. Più avanti un Edipo, ancora in fase di sola progettazione, ma grande desiderio d’entrarci dentro.