È la Striscia di Gaza ridotta in macerie dai bombardamenti di “Margine Protettivo” a meritare l’attenzione in questa fine d’anno carica di tensione. Non certo la risoluzione palestinese che si aggira come un fantasma per le stanze del Consiglio di Sicurezza dell’Onu senza materializzarsi. Fino a ieri sera non era chiaro quando la rappresentanza palestinese, attraverso la Giordania, chiederà di andare alla conta dei paesi favorevoli a votare la risoluzione o a respingerla. I palestinesi non hanno dalla loro parte 9 dei 15 Paesi che compongono il CdS. Potrebbero perciò decidere di soprassedere fino all’anno nuovo quando ci sarà un ricambio a loro favorevole tra i Paesi membri non permanenti, con l’ingresso di Nuova Zelanda, Angola, Venezuela, Spagna e Malesia. Incombe, in ogni caso, il veto degli Stati Uniti pronti a bloccare le aspirazioni palestinesi alle Nazioni Unite.

 

Gaza soffre terribilmente le conseguenze dell’offensiva israeliana della scorsa estate che oltre ad uccidere circa 2.200 persone (i morti israeliani sono stati 72, in gran parte soldati, più un lavoratore asiatico) ha ferito 11 mila persone e distrutto o danneggiato decine di migliaia di case (gli sfollati sono 100mila). Morti e distruzioni che si aggiungono a una economia di fatto ferma da anni e alla disoccupazione salita al 44% . Non sorprende perciò che gli otto ministri e 39 funzionari governativi, giunti due giorni fa a Gaza per fare il punto della situazione ed rendere operativo il governo di unità nazionale Fatah-Hamas, non siano stati accolti con i fiori. Ieri davanti alla sede provvisoria dell’esecutivo, i ministri hanno trovato centinaia di dimostranti che scandivano slogan di protesta per la ricostruzione mai partita. Ci sono stati anche attimi di tensione. Le guardie di sicurezza sono state prese di sorpresa e due ministri sono stati spintonati. Le proteste avevano il pieno sostegno di Hamas che non ha mancato di far sentire la sua voce contro l’Anp. L’ex premier islamista, Ismail Haniyeh, ha accusato il governo del primo ministro Rami Hamdallah di non aver operato per consolidare le istituzioni dell’Anp nè per preparare le elezioni. E sabato il numero 2 dell’ufficio politico di Hamas, Musa Abu Marzuk, aveva polemizzato apertamente con Abu Mazen accusandolo di non “aver alzato un dito” per risolvere la crisi nei servizi medici della Striscia e di aver ignorato lo stato generale di abbandono. Hamas insiste affinchè i suoi membri siano inclusi nei ministeri ma su questo punto resta irrisolta la disputa con Hamdallah, ora nel Golfo in visita ufficiale, che nei prossimi giorni dovrebbe raggiungere Gaza. In ogni caso è positivo il fatto che i ministri si sono decisi a recarsi nella Striscia, per la seconda volta dalla formazione del governo unitario, nel giugno scorso. Sabato un dirigente di Hamas, Mussa Abu Marzuk, aveva polemizzato apertamente con il presidente dell’Anp Abu Mazen accusandolo fra l’altro di non “aver alzato un dito” per ovviare alla crisi nei servizi medici della Striscia e di aver ignorato lo stato generale di abbandono.

 

I ministri, tutti tecnocrati, hanno annunciato che si fermeranno per oltre una settimana per riorganizzare i rispettivi ministeri e dar vita ai primi interventi. Secondo quello del lavoro, Mamoun Abu Shahla, la priorità andrà alla ricostruzione delle zone distrutte dalla guerra ma non è chiaro quali siano le decisioni del governo dell’Anp per facilitare l’ingresso dei materiali di costruzione alla luce del blocco di Gaza attuato da Israele e l’Egitto. Israele vuole essere certo che materiali edili non saranno requisiti da Hamas. L’Egitto da parte sua insiste affinché il valico di Rafah (fra il Sinai e Gaza) venga gestito unicamente dalla guardia presidenziale di Abu Mazen: una richiesta inaccettabile per Hamas. Senza contare che i 5,4 miliardi di dollari per Gaza promessi dai Paesi donatori alla conferenza del Cairo dello scorso ottobre sono rimasti solo numeri su fogli di carta. Tutto ciò mentre le condizioni di vita dei civili restano precarie di fronte a una erogazione della corrente elettrica che non supera le sei ore al giorno e la distruzione di una parte della infrastrutture.

 

In questo quadro sconfortante, un sorriso ai ragazzi di Gaza riesce a strapparlo il “Festival di Scambio e Formazione”, cominciato il 28 dicembre e organizzato dal Centro Italiano di Scambi Culturali – VIK, con sede a Gaza City, insieme ad associazioni italiane, università e scuole. Si tratta di una rassegna di attività culturali, artistiche e sportive che vede la partecipazione di italiani e palestinesi. Il programma prevede attività di formazione e workshop, dal parkour ai graffiti che coloreranno le zone distrutte durante l’attacco della scorsa estate: Beit Hanoun, Khuzaa e Shajayea. I giovani si stanno cimentando anche nelle tecniche di media e comunicazione, dalle fotografie ai video, arte circense, giocoleria, break dance, dabka, la danza palestinese.