Il grande strappo di Olaf Scholz sulla tela occidentale: «La Germania non ha alcuna intenzione di sganciarsi economicamente dalla Cina», ripetuto due volte nella conferenza stampa congiunta con il primo ministro Li Qiang, è il passaggio-chiave del discorso del cancelliere Spd a Pechino.

Precede la dichiarazione congiunta che smonta le speculazioni sul rischio di scontro imminente tra il blocco occidentale e il colosso orientale: Le case  automobilistiche tedesche e l’automotive made in China «collaboreranno attivamente nel settore della guida automatizzata e dei veicoli connessi a internet».

È questo il vero risultato della visita di Stato di Scholz al presidente Xi Jinping (la seconda dall’inizio del suo mandato), e non la promessa di «influenzare Putin affinché ritiri le sue truppe dall’Ucraina» come lo stesso cancelliere si era premurato di far sapere alla vigilia del summit.

L’esito politico, invece, è l’esatto opposto. Tutti gli alleati sono arrabbiati con il leader Spd: i partner della coalizione Semaforo scandalizzati dal suo palese disallineamento rispetto alla rotta faticosamente tracciata a Bruxelles e gli amici della Nato, americani in testa, convinti che non si possano condividere le nuove tecnologie con il prossimo nemico.

«La visita di Scholz in Cina non ha fatto fare passi avanti a nessuno dei temi di interesse europeo, né sull’Ucraina, né sulla sovraccapacità di Pechino di sfidare il mercato Ue. In compenso è emersa la dichiarazione di collaborazione nel settore delle automobili connesse al web» chiosa Janka Oertel, responsabile del desk asiatico dell’“European council on foreign relations” facendosi portavoce del mal di pancia generale sulla rinascita dell’asse Berlino-Pechino. «Così si mette a repentaglio lo sforzo Ue di raggiungere una posizione comune sull’interconnessione fra tecnologie verdi, dati e sicurezza nazionale. Irritante che la Germania non si mostri in sintonia con gli alleati per contrastare il rischio di cyber-security proveniente dalla Cina».

 

In fondo, è stato così anche la strategia energetica, con Berlino che faceva affari con Gazprom nonostante le sanzioni Usa e Ue prima che un commando di sub facesse esplodere il Nordstream con «l’aiuto di una potenza straniera», almeno così scrivono senza timore di smentita le compagnie di assicurazione del gasdotto che ora si rifiutano di pagare il danno del non-incidente.

«Certamente vogliamo ridurre la nostra dipendenza, però non ci sarà nessuna rottura con la Cina» assicura Scholz mentre la diplomazia tedesca festeggia così il «successo» della sua missione: «Germania e Cina hanno ribadito il comune sostegno alla pace stabilendo di coordinarsi intensamente per un’apposita conferenza in Svizzera. Per la seconda volta si sono pronunciati contro l’uso e la minaccia delle armi nucleari».

 

Troppo poco e troppo vago, al contrario del business sull’automotive che pare invece già a buon punto, è il sottotesto della critica al cancelliere dell’eurodeputato dei Verdi, Reinhard Bütikofer: «Scholz deve dire alla Cina che sta seguendo una strada che noi europei non possiamo in alcun modo accettare».

Invece a Pechino a tenere una lezione è stato Xi Jinping, capace di «intrattenere» il capo di Stato tedesco per tre ore e venti minuti, prima camminando, poi con il faccia a faccia riservato durato oltre 45 minuti e con il lungo pranzo insieme alle rispettive delegazioni. Il presidente cinese si è concentrato sull’economia auspicando «la primavera dei rapporti» fra il suo Paese e la Germania. Oltre all’accordo sull’automotive ha stretto altre tre intese commerciali con Scholz: sull’economia circolare, sulla carne bovina e sul permesso di importare in Cina le mele tedesche. Questo è ciò che interessa alle due Locomotive economiche.