Nella Biblioteca Nazionale di Francia a Parigi, raccolti sotto la dicitura «Carnets di Luigi XIV» sono conservati venti libricini, all’incirca dodici centimetri per cinque, elegantemente rilegati in marocchino rosso e con scritte e fermagli in oro. Li si poteva portare in tasca. Erano stati commissionati nel 1661 da Jean-BaptisteColbert – il potente ministro delle finanze francese – per il suo re Luigi XIV. Nei carnets erano riportate con precisione tutte le spese, gli introiti, le proprietà del re; venivano aggiornati da Colbert almeno due volte l’anno. È la prima volta che un monarca mostra un tale interesse per i suoi averi, tanto da voler avere sott’occhio in qualsiasi momento l’andamento delle spese e degli introiti. Non durò molto.
Nel 1683, alla morte di Colbert, il re Sole – i cui conti erano costantemente in rosso per la predilezione per costosissimi palazzi come Versailles o per ancor più costose guerre – non li adoperò più. «L’Etat c’est moi».
La storia è raccontata in un recentissimo studio di Jacob Soll, docente di Storia e Amministrazione all’Università South California negli Stati Uniti (The Reckoning-Financial Accountability and the Rise and Fall of Nations. Basic Books, New York).
Il libro è attualissimo, anche se parte da Cesare Augusto, e racconta con verve e ricchezza d’informazioni la nascita della finanza, e soprattutto la contabilità a partita doppia: dai commercianti genovesi al pratese Francesco Datini, alla nascita della potenza e ricchezza infinita dei Medici, da Cosimo a Lorenzo il Magnifico, senza dimenticare le vicende e i progressi, nell’arte della contabilità, di olandesi e inglesi.
Gli ultimi capitoli trattano della crisi finanziaria del mondo occidentale, dal 2008 in avanti, e sono una chiara e dettagliata denuncia dell’opacità dei conti della finanza internazionale, responsabile, consapevolmente, di una diminuzione della democrazia e della legalità.
In questa crisi non c’è stato quasi alcuno scalpore – afferma Soll – riguardo alla mancanza totale di trasparenza finanziaria (quella che gli anglosassoni definiscono financial accountability) sia pubblica che privata. Nonostante le centinaia di migliaia di revisori di conti di aziende pubbliche e private, nonostante la Sec (l’agenzia di vigilanza sulla borsa americana), il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e gli organi regolatori dell’Unione Europea ancora nessuno è andato in galera per i crimini finanziari, o per mancati controlli nella crisi finanziaria del 2008. È solo del 27 agosto la notizia che la Sec ha adottato per la prima volta delle misure per regolare il conflitto d’interesse delle agenzie di rating. Perché?

La credibilità assente

Ci sono state proteste per l’impunità delle banche, e talvolta, da un’altra sponda, persino indignazione per presunte interferenze governative sulla libertà di Wall Street, ma non c’è stata mai alcuna seria discussione su cosa sia effettivamente una financial accountability. Cosa si intende per trasparenza finanziaria, come si tiene la contabilità pubblica e privata, cosa si conteggia, come si misurano i capitali (ma sono misurabili?) e perché le società moderne sono impantanate e infangate da crisi non solo di credibilità finanziaria ma anche di fiducia politica? Governi e cittadini sembrano incapaci e riluttanti, se non addirittura contrari, a ritenere responsabili del proprio operato le società per azioni, le grandi corporations, e anche se stessi.
Il libro di Jacob Soll ripercorre la storia della financial accountability, del tenere i conti e renderli trasparenti e comprensibili. L’accounting, la gestione dei libri contabili – sostiene – è alla base della crescita e del fallimento delle nazioni. Il suo è un utile complemento al saggio, di grande successo, di Thomas Piketty sul Capitale nel XXI secolo (Bompiani editore).
L’economista francese ha mostrato- fra le altre cose del suo voluminoso saggio – come dagli anni Settanta in avanti c’è stata la inarrestabile crescita di una società ineguale dove i super-managers hanno preso quasi il ruolo dei rentiers di una volta. Piketty spiega come queste inegualità crescenti siano frutto di scelte politiche e non di «tendenze naturali» dell’economia. Ma le politiche della democrazia moderna sono esse stesse fortemente limitate dalle domande di meritocrazia del mercato. Un vicolo cieco. L’ineguaglianza del capitale ci ha privato della «sovranità democratica». I grandi ricchi hanno molta influenza sulla politica e perfino sulla concezione stessa di legalità. Particolarmente negli Stati Uniti.
Non c’è bisogno di troppa trasparenza democratica per vedere che i ricchi guadagnano molto di più della maggioranza della popolazione, ma «quanto di più» è impossibile saperlo in quanto enormi capitali sono nascosti in paradisi fiscali.
Piketty sostiene quello che sembrerebbe una tesi teoricamente impossibile: «la bilancia globale dei pagamenti è negativa». Escono cioè più soldi da un paese di quanti ne entrano. Tutto ciò è possibile grazie a quella che viene definita la «contabilità nascosta» una caratteristica tipica del capitalismo del XXI secolo. E proprio su queste considerazioni diventa utile e complementare la lettura di Jacob Soll.
Questo aspetto del capitalismo contemporaneo fa parte di una storia antica dove una gestione accurata dei libri contabili, un’amministrazione rigorosa o confusa, se non truffaldina, hanno segnato la differenza fra l’ascesa o la caduta delle nazioni anche perchèsempre conseguenza di scelte politiche.

Trucchi e inganni

Oggi, nonostante leggi e regolamenti e una stampa vigile, le forze che si oppongono alla trasparenza finanziaria sono molto forti sostiene Soll. La stessa quantità, complessità e scala delle operazioni compiute dalle banche, dalle società per azioni, dalle istituzioni governative le ha rese non controllabili. Quanti revisori dei conti servirebbero per controllare Goldman Sachs, se fosse possibile? Diecimila, quarantamila ? Potrebbe anche essere impossibile. Governi e revisori dei conti non riescono, allo stato attuale delle cose, a stare dietro agli strumenti finanziari in trasformazione continua come batteri, e agli innumerevoli trucchi bancari. Come funzionano davvero capitale e mercati? Forse i mercati come li abbiamo conosciuti finora non esistono più, in questo mondo di transazioni finanziarie che si eseguono all’altissima frequenza di complessi algoritmi. È possibile intervenire? La risposta di Soll sembra pessimistica ancor più di quella di Piketty, che si augura nuove forme di tassazioni globali anche se si rende conto che sono difficilmente attuabili. Al di là dei cicli economici – sostiene Soll – il fallimento sembra essere insito in un sistema finanziario mondiale che non è opaco per caso ma piuttosto per scelta di molteplici disegni. L’aver fatto della finanza un mondo a parte, ha abbassato le nostre aspirazioni finanziarie e politiche.
Il mondo non può esser narrato solo in termini economici e finanziari. I numeri dei conti fanno parte di un universo più grande, di una società fatta anche di cultura, d’arte, di rispetto per l’altro, di uguaglianza.