JAZZ ITALIA
Insipienza
mediatica

Si sentono spesso in giro lamentele sul fatto che escono troppi dischi di jazz italiano. Vero, ma comunque la si metta è crisi di crescita, con un’offerta che di rado incontra la domanda, per insipienza mediatica nel promuovere i nuovi talenti a scapito delle mode effimere, assai più redditizie. Ad esempio un talento come Filippo Ieraci, uscito dal Conservatorio di Udine meriterebbe di essere conosciuto al di là delle nicchie, con il suo Trust the Process (autoprod.) in trio. Attacco, precisione, un fraseggio morbido in assolo che si fa notare, per un musicista che padroneggia molti altri strumenti, oltre alla sei corde. Da tenere d’occhio anche la vocalist Linda Gambino, luminosa nel timbro e sicura nel fraseggio, cresciuta negli States e formatasi al Berklee College, all’esordio con Unexpected (Filibusta). Un disco «inaspettato» nato dalle collaborazioni con il chitarrista Andrea Zacchia, che a propria volta esordisce su disco con il suo Hammond Trio con HBPM (Wow), sulle piste swinganti di Wes Montgomery, dei trii con organo hard bop e soul, e soprattutto di Pat Martino, mentore per il saettante fraseggio. (Guido Festinese)

ALTERNATIVE
La benedizione
di Hildegard

Si è spesso detto su queste pagine quanto il Belgio sia una fucina quasi inesauribile di band ascrivibili al genere alternative. Tra queste si segnalano anche gli Amatorski, guidati dalla cantante, autrice e tastierista Inne Eysermans, che tornano con un disco, Curves and Bends, Things Veer (Crammed Discs/Pias/Self), che si pone a metà strada tra il dreampop e l’elettronica d’ambiente. L’album dimostra ancora una volta che alla scena belga va un occhio particolare. Un disco di cui tenere ben conto è il nuovo della scozzese, di stanza a Copenhagen, Clarissa Connelly, intitolato World of Work (Warp/Self). Il folk ancestrale delle lande nordiche collide con l’art rock e il pop, Kate Bush si incontra con Tori Amos, Enya passeggia canticchiando amabilmente con Joanna Newsom, mentre Hildegard Von Bingen dall’alto benedice. Splendido! E per chiudere ci spostiamo in Francia per parlare dell’ultimo lavoro di Halo Maud, al secolo Maud Nadal, Celebrate (Heavenly/Pias/ Self). Pop in svariate forme – psych, dream, electro, art, chamber e sperimentale – e due lingue – francese e inglese – si ritrovano a più riprese in queste dodici gustose tracce. (Roberto Peciola)

AMBIENT IMPRO
Sperimentazione
radicale

La frontiera e il fascino che genera. Pubblicazione imperiosa da parte della In-Possible Records che stampa Expériences de Vol #15 #16 #17. Dentro a questo cofanetto che include dodici diversi autori, presenti con una incisione cadauno divisi in tre volumi, trovate elettroacustica e sperimentazione di stampo radicale. Il tutto nasce nel nord della Francia, a Valenciennes, dove hanno sede gli Art Zoyd Studios, fondati dalla direttrice Monique Hourbette-Vialadieu e da Gérard Hourbette già mente della band rock francese Art Zoyd. Le oltre tre ore di registrazione sono un coraggioso e immersivo viaggio nell’ignoto. Non di facile fruizione ma affascinante: selezioniamo The Archipelago of Noise Islands di Dror Feiler, C’est déjà arrivera di Raphaël Ortis e La sierpe alada del sueño di Mirtru Escalona-Mijares. Conclusione con l’esordio per la compositrice Simina Oprescu che presenta Sound of Matter (Hallow Ground). Due temi che sviluppano circa trentacinque minuti, dediti al minimalismo e alla drone music, partendo da antiche campane di chiesa. Suggeriamo Sound of Matter I. (Gianluca Diana)

CLASSICA
La via
spagnola

La musica dotta spagnola vive gli anni di maggior popolarità tra fine Ottocento e inizio Novecento, quando alcuni giovani compositori tentano una via autoctona inserendo elementi popolari nelle strutture classiche. Tra loro il maggior esponente risulta Enrique Gradanos oggi «riscoperto» del pianista Javier Perianes con le Goyescas (Harmonia Mundi), sei partiture ispirate ai quadri del grande pittore Francisco Goya, tradotti in suoni, tra nobiltà e humour, amore e morte, per simboleggiare l’epilogo dell’ancien régime. Gradanos è altresì presente con 8 valses poetícos in L’amour sorcier (Stradivarius) accanto a Iberia di Isaac Albeniz, la title-track di Manuel De Falla e una sonata del francese Claude Debussy: Sébastien Singer (violoncello) e André Fisher (chitarra) offrono versioni cameristiche con atmosfere quasi oniriche. Infine memore in parte della musica spagnola (e della coeva produzione europea) è l’Aurelio Canonici di Piano Preludes (Aulicus) brillantemente eseguiti da Gilda Buttà, che illumina sedici brevi partiture variamente ispirate. (Guido Michelone)

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

TRAD
Soundscape
del dolore

BARABÀN
IL VIOLINO DI AUSCHWITZ (Ass. Cult. Barabàn)

**** Topografia dell’orrore: Auschwitz, Dachau, Mauthausen, e decine di altri luoghi. Soundscape del dolore: musiche da danza e da festa klezmer, rom, chassidiche, resiane, ninnananne cantate fino a un attimo prima di entrare nelle camere a gas. I nazisti amavano far suonare e cantare i prigionieri. Storie che sono ora documentate in serie ricostruzioni storiche, e da opere come questa, dei formidabili Barabàn: è la base dello spettacolo portato in giro per l’Italia e dedicato a Liliana Segre. Difficile ascoltarlo senza sentire una morsa sul cuore, ma bisogna farlo. (guido festinese)

 

CANTAUTORI
L’urgenza
del testo

CESARE BASILE
SARACENA (Viceversa Records)

***** Basile è senza alcun dubbio tra i migliori interpreti di una canzone d’autore personale e originale, in cui è ricorrente la miscela tra tradizione e sperimentazione. Il nuovo album, cantato in siciliano come in passato, attinge dalle sue radici e da umori etno ma mischia il tutto con elettronica e avanguardia, osando, senza porsi limiti. I testi nascono dall’urgenza di una contingenza, non più emergenza, ormai acclarata, come l’esodo (in corso purtroppo in buona parte del mondo). Ancora una volta un disco di grande spessore. (antonio bacciocchi)

 

FUNK ROCK
Il punto
di equilibrio

KHRUANGBIN
A LA SALA (Dead Oceans)

**** Che stile. Tornati a produrre un album senza ospiti ad arricchire il tutto, i tre texani dimostrano ancora di saper raggiungere il punto di equlibrio tra buon gusto e tecnica. Emerge la maestria che hanno acquisito nel dare corpo alla loro matrice sonora. Le oscillazioni di May Ninth sono lo sguardo che si perde in un tramonto in spiaggia, speculari a quelle di Three from Two buone per l’alba, Pon Pòn è la passione del chitarrista Speer per il funk afroamericano di prima classe, Todavìa viva è un blues meravigliosamente sporco. Finale di gran qualità destinato al sabato notte con Hold Me Up. (gianluca diana)

 

CLASSIC ROCK
Melanconia
blues

MARK KNOPFLER
ONE DEEP RIVER (Capitol/Universal)

**** A 74 anni ha annunciato il suo stop ai tour – troppo impegnativi – e un suo più deciso coinvolgimento nella scrittura e la sala d’incisione. E a ragione, perché l’ispirazione rimane sempre altissima come dimostrano i dodici pezzi di questa decima operazione solista dell’ex Dire Straits. Dodici brani dall’afflato soffuso, brani rallentati dove il blues si mescola alla malinconia e un immaginario che si muove dalla Gran Bretagna agli Stati uniti. E se il biglietto da visita è l’introduttiva Two Pairs of Hands, la title-track che chiude l’ascolto è addirittura sontuosa. (stefano crippa)

 

ALTERNATIVE/2
Vivere
il presente

PENNY ARCADE
BACKWATER COLLAGE (Tapete/Audioglobe)

**** James Hoare, colui il quale si cela dietro lo pseudonimo Penny Arcade, è un musicista, cantante e autore inglese, già membro di band come Veronica Falls o The Proper Ornaments. E che sia inglese si sente. Si sente nelle sue composizioni delicate e in cui la melodia è ciò che spicca, visti gli arrangiamenti spesso minimali, spezzati solo a tratti da una chitarra saturata il giusto. C’è un certo ricordo degli anni Sessanta (Beatles e Syd Barrett appaiono in brani come Want You Around, ad esempio), ma Backwater Collage è un disco, un bel disco, che vive nel presente. (roberto peciola)

 

DOG UNIT
AT HOME (Brace Yourself Records)
**** Londra, sempre ricca di sorprese. Destano stupore e fanno battere le mani i quattro inglesi, all’esordio sulla lunga distanza. Due chitarre, basso e batteria che inanellano melodie e furori post rock, psych e stoner in alcuni passaggi, senza mai dimenticare che groove e freschezza possono fare la differenza. When Do We Start Fighting? è un coacervo di fosfeni che si inseguono, In a Magic World then Yes spunta un languore pop. Finale con le perle Consistent Effort e The Dogs Are Barking Again. (gianluca diana)

ANDREA GROSSI BLEND 3 + JIM BLACK
AXES (We Insist!)
**** Un deflagrante reticolo poliritmico annuncia passo e tono di Axes, in cui il batterista e compositore Jim Black, tra le menti più reattive e fresche della sua generazione incontra il Trio di Andrea Grossi, basso, clarino e qui scrittura del tutto. Questa musica è una sfida, una terra di nessuno frequentata da creature sonore aguzze e vitali, che scardinano il quieto vivere del mainstream, la pulsazione rassicurante, l’ovvio e legittimo. Coraggio e intelligenza in azione. (guido festinese)

JAMES NEWTON HOWARD
NIGHT AFTER NIGHT (Sony Classical)
***** James Newton Howard è il vero complice delle ricerche oniriche di Night Shyamalan. Questo prezioso cd è un vero poema sinfonico con Jean Yves Thibauder al pianoforte, Hylary Hahn al violino e Maya Beiser al cello diretto da Gavin Greenaway. 21 brani tratti dai film del regista indo-statunitense per cogliere quella importante appartenenza a un mondo ricco di significati. È un viaggio di scoperte. (marco ranaldi)

PALACE
ULTRASOUND (Fiction/Virgin)
**** Della band londinese Palace scrivemmo che il paragone con i Coldplay degli esordi era abbastanza «scontato», e che però speravamo di non vederli cedere al richiamo e alla stessa deriva commerciale. Con Ultrasound sembra che la nostra speranza abbia trovato «ascolto», e ci regalano brani intimi dall’andamento lento, forse troppo, un po’ di smalto non avrebbe stonato, ma il risultato è più che apprezzabile. (roberto peciola)

RICCARDO TESI & CLAUDIO CARBONI
UN BALLO LISCIO VOL. 2 (Egea)
***** Occorrerebbe un trattato filosofico per spiegare la ricerca artistica condotta a partire dal primo omonimo disco (1995) attorno alla celebre danza della tradizione norditalica, rivalutata come fenomeno culturale e ripresentata con formazioni e arrangiamenti che attengono alla modernità (qui, fin troppo estetizzante in alcuni punti): anche questo risulta comunque un lavoro epocale, grazie al nuovo organico (tra folk, jazz, classica) e a una scelta repertoriale eterogenea, onde superare inutili barriere stilistiche. (guido michelone)

VACATELLO-SCRIABIN
THE COMPLETE PIANO SONATAS 2 (Stradivarius)
**** Al di là della dicitura in copertina, si tratta del secondo album che la pianista partenopea Mariangela Vacatello dedica alle sonate per pianoforte che il grande compositore e russo Alexander Scriabin scrive tra il 1891 e il 1913: indicate semplicemente con il numero (qui le 2, 5, 6, 7, 8) riflettono un iter creativo che dal romanticismo passa via via a sminuire la ratio per far posto a simboli talvolta esoterici, anche con l’impiego della polimetricità, che la giovane interprete restituisce nella sua estatica complessità. (guido michelone)