Ironia della sorte, il terremoto giudiziario che sconvolge anche gli assetti del governo Renzi arriva nel giorno in cui inizia la fase esecutiva della Tav Torino-Lione, con il primo cda della società “Tunnel Euralpin Lyon Turin”. A riprova del fatto che sulle grandi opere, nonostante il moltiplicarsi delle inchieste, la volontà politica continua a prevalere sul resto. Compreso l’enorme costo delle malversazioni ai danni della collettività: “I costi delle opere pubbliche lievitavano anche del 40%”. Parole del generale comandante del Ros dei carabinieri, Mario Parente. Il tutto su un giro di appalti, quantificato dal procuratore Giuseppe Creazzo, di almeno 25 miliardi di euro.

L’indagine che ha portato all’arresto dell’ex super-dirigente del ministero dei lavori pubblici Ercole Incalza, del suo collaboratore Sandro Pacella, dell’imprenditore Stefano Perotti e del suo manager Francesco Cavallo, era partita nelle pieghe dell’inchiesta sul nodo Tav di Firenze. Con il contestatissimo doppio tunnel e la nuova stazione ferroviaria, anch’essa sotterranea.

Mesi e mesi di lavoro dei militari del Ros, coordinati dai sostituti Giuseppina Mione, Luca Turco e Giulio Monferini, hanno portato alla luce quello che il giudice delle indagini preliminari definisce, “un articolato sistema corruttivo”. Organizzato dal potentissimo Incalza, ex responsabile della struttura di missione per le Grandi Opere del ministero delle infrastrutture, assai chiacchierato e più volte indagato, andato in pensione due mesi fa e subito nominato consulente esterno. A garanzia, evidentemente, del ben oliato meccanismo che assicurava l’affidamento dei grandi appalti ferroviari, autostradali e industriali a società consortili ben conosciute da Incalza. Il quale poi le convinceva, come riepiloga l’ordinanza del gip, “a conferire a Stefano Perotti, o a professionisti e società a lui riconducibili, incarichi di progettazione e direzione di lavori, garantendo il superamento degli ostacoli burocratico-amministrativi”.

Da parte sua Perotti, titolare della società “Ingegneria Spm”, si sdebitava affidando incarichi tecnici e di consulenza a professionisti indicati da Incalza. Il quale, da neo pensionato d’oro, non mancava di arrotondare. Assicurandosi incarichi “lautamente retribuiti”, come quello conferitogli dalla Green Field System srl, una delle società affidatarie delle direzioni dei lavori. In queste operazioni Francesco Cavallo aveva uno stipendio mensile di 7mila euro “come compenso per la sua illecita mediazione”. Soldi di Perotti, figura centrale dell’inchiesta visto che aveva ottenuto la direzione dei lavori delle più importanti grandi opere appaltate negli ultimi anni.

L’elenco è lungo. Si va dal nodo Tav fiorentino a quello fra Genova e Milano (Terzo Valico del Giovi). Ancora l’alta velocità fra Milano e Verona da Brescia alla città veneta, e poi l’autostrada Cispadana, e la progettata Civitavecchia-Orte-Mestre. Non poteva mancare l’Expo, con il cosiddetto “Palazzo Italia Expo 2015”. C’erano perfino la direzione per un’auspicata, ai tempi di Gheddafi, autostrada in Libia, e ancora la linea C della metro di Roma, due tratte della metro di Milano, e due lotti della Salerno-Reggio Calabria.

“Il totale degli appalti affidati a società legate a Perotti – ha ricordato il procuratore Creazzo – è di 25 miliardi di euro”. Sui quali ballavano mazzette calcolate fra l’uno e il 3%, a seconda dei casi. Le ordinanze di custodia cautelare parlano di corruzione, induzione indebita, turbativa d’asta e altri delitti contro la pubblica amministrazione. La quale peraltro aveva dato mano libera a Incalza, pronto a sfruttare il Codice degli appalti che affida al general contractor l’esecuzione e la direzione delle “opere strategiche”. Con convenzioni e contratti che, di fatto, rovesciavano i ruoli fra il controllore e il teorico controllato. E con una lievitazione dei costi anche del 40%.

Nell’operazione, ribattezzata “Sistema”, la procura e il Ros hanno individuato una cinquantina di indagati, fra società – spiccano Rfi e Anas – e persone fisiche. Nel mucchio Vito Bonsignore (Ncd), il dem Antonio Bargone (ex sottosegretario nei governi Prodi e D’Alema), e Stefano Saglia (ex Pdl e Ncd, ex sottosegretario al Mise). Compare anche Rocco Girlanda, ex Pd, e il manager Antonio Acerbo, già arrestato lo scorso ottobre e ora accusato di turbativa d’asta per il Palazzo Italia.

17pol2Lupi08

Soprattutto compaiono fra le carte e le intercettazioni il ministro Maurizio Lupi e il viceministro Riccardo Nencini. Il primo, che nel 2005 al meeting di Rimini definiva il già indagato Incalza “un patrimonio per il paese”, appare legatissimo all’arrestato. Da parte sua Incalza si vanta di aver redatto, all’arrivo di Matteo Renzi a palazzo Chigi, il programma di governo dell’Ncd. Quanto a Nencini, che replica parlando di millantato credito, le telefonate fra Lupi (che chiama) e Incalza disegnano la sponsorizzazione del secondo in favore del viceministro socialista.

“Il gip non ha ritenuto che sussistessero gli elementi di gravità per contestare l’associazione per delinquere – precisa il procuratore Creazzo – e l’ha rigettata”. Mentre Lupi ora promette: “Stiamo lavorando con l’autorità anticorruzione per fare modifiche al codice degli appalti, sul general contractor, e rinnovando la funzione della struttura tecnica di missione”. Ora?