Con gli occhi puntati alle urne, ma anche agli schermi televisivi per seguire i risultati, più di 9 milioni e 800milagreci votano oggi in un appuntamento elettorale, considerato da tutti come il più importante dal dopo guerra, anche più di quello che ha seguito la caduta dei colonnelli nel 1974. Allora la democrazia aveva già vinto e si trattava di scegliere il partito di preferenza, di destra, di centro o di sinistra.

Ora la democrazia è in gioco nel paese dove è nata, nonostante i rappresentanti del neoliberalismo, locali e internazionali, cerchino di convincere l’elettorato che il pericolo proviene proprio da «quelli della sinistra», come detto venerdì dal premier uscente Antonis Samaras. La gente comune – sia chi vota per i nazisti di Alba dorata, per reagire, come sostengono, allo stato corrotto, oltre ai conservatori della Nea Dimokratia, ai socialisti del Pasok, che hanno visto calare la loro forza dal 42% al 5% nell’arco di pochi anni, fino agli attivisti del Syriza e alla sinistra extraparlamentare – si rende conto che gli accordi firmati con i creditori internazionali erano contro la legislatura e la Costituzione ellenica. Un maxi-memorandum imposto dalla troika (Fmi, Ue, Bce) con l’alibi di un risanamento economico, ha violato la legge, provocando una vera e propria tragedia umana. Il famoso welfare state, i diritti dei lavoratori e dei pensionati, dei giovani e delle donne, il sistema sanitario e quello dell’istruzione, negli ultimi sei anni sono stati calpestati, oltre alle sovra-tasse e ai tagli agli stipendi e alle pensioni.

Le conseguenze economiche per i greci, a causa del programma lacrime e sangue, è soltanto una parte di questa crisi umanitaria. La disperazione collettiva, l’ansia del giorno dopo dietro i muri di ogni menage, il vivere -non vivere per gente che fino a pochissimi anni fa aveva un tenore di vita buono, ha avuto delle ripercussioni nella società, nella cultura, negli abitudini quotidiane. La classe media è stata annientata e una parte di essa si è radicalizzata.

La ripresa dell’economia, almeno nei numeri, stava iniziando, ma nulla era cambiato nella vita della gente. Ed è questo uno dei motivi dell’aumento verticale (da 4% al 32%) di una sinistra radicale, abituata per decenni a stare all’opposizione, ma che ora deve gestire l’avvenire di un Paese traumatizzato. Oggi per i greci si tratta di scegliere se continuare a sottoporsi a nuovi sacrifici, e una morte lenta (non si tratta di una frase esagerata, anzi la depressione era fino a ieri presente nelle facce delle persone e viene segnata nelle statistiche dei suicidi) oppure, dire «basta all’austerity» con il pericolo di una morte violenta. Perché gli occhi di tutti sono puntati al giorno dopo pieno di speranze e di grinta, nel caso di vittoria per Syriza, ma anche di difficoltà perché le reazioni saranno enormi, sia all’interno sia all’estero da parte di chi non ha mai visto di buon occhio la salita al potere di un partito di sinistra.

Lo scontro tra i creditori internazionali e un governo delle sinistre sarà duro e inevitabile, nonostante ambedue le parti non vogliano un «incidente» con conseguenze gravi per l’Ue. A sentire i greci il loro Paese nel 1944 è stato il primo terreno di scontro tra l’occidente capitalista e l’est comunista all’inizio della Guerra fredda; poi nel 2009 la Grecia è stata «l’animale di sperimentazione per i mercati e i falchi del liberalismo» e ora diventa la punta dello spiedo per far emergere la necessità di un’Europa unita ma su basi diverse, cosi come l’hanno descritta i fondatori dell’ Unione europea. Non a caso Alexis Tsipras considera il governatore della Bce, Mario Draghi, -che non e certo uomo di sinistra- un baluardo contro le politiche di austerity della Germania.

Syriza nel caso dovesse vincere le elezioni, sarebbe il primo governo in Ue, a parte forse i Verdi tedeschi, capace di proporre un modello diverso per l’Europa, non da euroscettici, bensì come una alternativa alla germanizzazione dell’Europa.

Tsipras mira a un governo autonomo, non perché è intransigente o prepotente, ma perché non vorrebbe allearsi in un governo di coalizione con partiti di centro-sinistra che si erano schierati a favore del memorandum. Ha tagliato i ponti con i Partiti minori (Pasok, Fiume, Sinistra democratica, Movimento dei socialisti democratici), mentre i comunisti del Kke ai quali si era rivolto per una cooperazione post-elettorale, hanno negato ogni cooperazione. Non è da escludere, la formazione di un governo di coalizione con i Greci indipedenti (Anel), una formazione anti-memorandum, ma di destra nazionalistica, nonostante la decisione di Syriza escluda una tale cooperazione.

La legge elettorale offre un bonus di 50 seggi al partito vincente, ma la formazione di un governo monocolore non dipende soltanto dalla percentuale presa, bensì dalla somma delle percentuali che raccoglieranno i partiti che non riusciranno a superare la soglia del 3 per cento. Se per esempio questa somma arriva al 15 per cento, Syriza potrebbe formare un governo anche con il 34,5 per cento. Se, invece, i partiti rimasti fuori dal parlamento raccolgono il 10 per cento dei voti, la sinistra radicale greca dovrà ottenere oltre il 36 per cento per poter costituire un governo monocolore.

L’obiettivo di un governo tutto Syriza, per essere più forti contro la troika come vorebbe Tsipras, è complicato. Così come rimane incerto l’obiettivo di una maggioranza solida e forte per resistere alle pressioni dei mercati e dei creditori internazionali. La questione delle alleanze diventa una questione di primaria importanza per il giorno dopo, oltre all’haircut del debito pubblico e all’annullamento dei memorandum, questioni che riguardano i rapporti di Atene con i creditori internazionali. Intanto, a prescindere dalle eventuali difficoltà per la formazione del governo, il nuovo parlamento deve comunque eleggere il Presidente della Repubblica. Il domani in Grecia e già cominciato.