Doping sistematico. Cospirazione di Stato, la Russia, il ministero dello sport, che altera provette, nasconde la positività di oltre mille atleti, dal 2011 sino al post Olimpiadi invernali di Sochi.

In mezzo, i Mondiali di nuoto 2013, le Olimpiadi di Londra dell’anno prima, secondo la Wada il punto più alto del sistema creato dai russi, con oltre 80 medaglie e nessun caso di positività tra gli atleti.

IERI LA DENUNCIA dell’agenzia internazionale contro il doping, che ha tirato fuori dal cassetto la seconda parte del report (prima parte, lo scorso luglio) sul doping orchestrato a Mosca per vincere medaglie ai Mondiali, ai Giochi olimpici.

Un sistema «controllato, diretto, supervisionato» dal ministro dello sport russo Vitaly Mutko, con l’aiuto dei servizi segreti. Ieri è arrivato il carico da novanta sui russi: 1115 atleti e 30 sport coinvolti. Campioni di urina manomessi in competizioni olimpiche, paralimpiche, mondiali.

E sotto accusa c’è anche il calcio, la grande carta che si è giocato Vladimir Putin all’epoca dell’assegnazione della competizione per dimostrare all’Occidente – Europa e soprattutto Stati uniti – la potenza organizzativa della Federazione Russa. 2022. Dunque, il report sul doping per la conferma di un trend, ovvero Mosca, come avveniva tra gli anni Settanta e Ottanta, che crea gli atleti robot, trucca il motore per vincere, nell’improvvisa concordia che si è venuta a creare tra la stessa Wada (sostenuta dai primi vagiti dell’inchiesta dall’Usada, l’agenzia antidoping americana) e il Comitato olimpico internazionale, in piena guerra la scorsa estate. Insomma, tutti buoni, puliti. Tranne i russi.

ED È UNA VISIONE PARZIALE, da integrare, per esempio sullo stesso Comitato olimpico – per restare ancora un attimo nello sport – che discute di codice etico, invoca squalifiche a vita, promette ulteriori indagini oltre all’inchiesta Wada dopo essere finito sotto la lente di polizia e magistratura francese – come rivelava The Guardian lo scorso marzo – su episodi di corruzione per l’assegnazione dei Giochi olimpici 2016 a Rio e del 2020 a Tokyo.

In una vicenda che toccava anche la Iaaf, la federazione internazionale di atletica leggera (che ha impedito a molti atleti russi di correre a Rio de Janeiro) con l’arresto dell’ex presidente, Lamine Diack. Ma l’affaire doping va incastrato con il ruolo della Russia su diversi piani inclinati della scena politica mondiale in cui lo sport è solo un mezzo della Guerra Fredda 2.0.

IN UCRAINA, CON PUTIN che ha incolpato gli occidentali di aver guidato la rivolta antirussa. In Siria, dove il rapporto con gli Stati uniti è oltre il limite da un pezzo: la tregua fallita qualche settimana fa, lo stop a ogni contatto con il Cremlino voluto dalla Casa bianca, con Putin che subordinava la ripresa dell’accordo sul plutonio (accordo su reciproca distruzione di parte dell’arsenale nel 2000) all’abolizione delle sanzioni inflitte dagli Stati uniti a Mosca.

Che da tre anni offre asilo politico a Edward Snowden, l’ex ufficiale dei servizi segreti americani accusato dagli Usa di spionaggio, furto e declassificazione di proprietà del governo non autorizzata, dopo aver pubblicato una serie di documenti riservati sull’attività di spionaggio di Washington in tutto il mondo.

Ed è difficile anche pensare a una coincidenza della pubblicazione del report Wada con la fine del mandato di Barack Obama, il successo di Donald Trump e il presunto riavvicinamento con la Russia.

Insomma, il report, la plastica dimostrazione del potere corrotto in Russia, potrebbe essere un nuovo, speciale invito forzoso al suo leader a rinegoziare posizioni e obiettivi. Con Mosca che non replica. Per ora.