Sarà perché anche lui è stato per un certo periodo uno degli abitanti di quel paese chiamato «neorealismo», il cinema italiano di Zavattini di cui fu allievo al Centro Sperimentale alla fine degli anni Sessanta, che Hector Babenco, scomparso appena settantenne ha lasciato un ricordo così vivido negli spettatori. Infatti soprattutto due film, Pixote (1980) e Il bacio della donna ragno (1984) sono entrati spesso nelle classifiche e nell’immaginario. Pixote per aver aperto un inedito (allora) scenario di criminalità giovanile a San Paolo e Rio con un protagonista, Fernando Ramos da Silva, che sarà poi ucciso dalla polizia a soli diciannove anni e tutto un insieme di attori presi dalla strada, come insegnava il nostro cinema del dopoguerra.

La frenetica azione del suo film poteva averla appresa anche sui set dei western dove aveva fatto la comparsa, dopo essere stato fotografo, venditore di Bibbie o imbianchino, dotato di una feroce fantasia, argentino nato a Mar del Plata da genitori ebrei immigrati dall’Europa dell’est, arrivato a Roma con tutta una schiera di latinoamericani a Cinecittà da Birri a Gabriel Garcia Marquez, Gitierrez Alea e Saraceni.

SÃO PAULO, SP - 23.02.2016: CINEMA-SP - O diretor Hector Babenco durante entrevista coletiva de lançamento do novo filme do diretor Hector Babenco,

Poi non ha più fatto ritorno in Argentina e ha scelto il Brasile come suo paese di adozione. Lì filma con Roberto Farias un documentario dedicato alle corse automobilistiche (O fabuloso Fittipaldi) quindi una serie di film in cui la piccola criminalità giostra con il potere: O rei da noite (’75), Lucio Flavio o passageiro da agonia (’77) dove un bandito collabora con la polizia e si adombrano gli squadroni della morte, in seguito Pixote. Ma il suo stile pure se indaga società e politica, sviscera sociologia e contrasti, possiede una dose effervescente di sogno, memoria e fantasia.

Lo vediamo più precisamente con Il bacio della donna ragno (1985) basato sul romanzo del grande scrittore latinoamericano Manuel Puig (anche lui diplomato al Centro sperimentale). Il film, basato sul dialogo tra i due carcerati Valentin giornalista rivoluzionario e l’omosessuale Molina detenuto per reati su minori affabulatore di sogni popolati di visioni cinematografiche, e che prosegue con i temi del potere politico e culturale, del tradimento e della morte, diede vita a dissapori con lo scrittore, anzi a un vero e proprio scontro di cui restano le tracce in una serie di testi (così come romanzo e film sono stati a lungo analizzati comparativamente). Il film premiato a Cannes e candidato all’Oscar, coprodotto con gli Usa, interpretato da William Hurt, Raul Julia e Sonia Braga, lasciò nel pubblico un sapore di novità, un viaggio nell’eros, nelle citazioni, nei rapporti di potere.

Grazie a questo successo gli furono aperte le porte degli studios nordamericani, ma meno successo ottennero i successivi Ironweed, con Meryl Streep e Jack Nicholson e Giocando nei campi del signore. Grande successo in Brasile fu Carandiru (2003) sulla rivolta carceraria del 1992 nella Casa de Detenciones di San Paolo, avvenuta durante una partita di calcio tra carcerati, per avere migliori condizioni divita, che fece più di un centinaio di morti tra i detenuti. Il passato pur interpretato dall’emergente Gael Garcia Bernal (presentato alla festa di Roma nel 2007), storia di un rapporto problematico gli fece per dieci anni terra bruciata con i distributori.

Poi infine riuscì a produrre la sua ultima opera: «Non è un film autobiografico», ci teneva a dire Babenco parlando di Meu amigo hindu che ha aperto a settembre la mostra del cinema di San Paolo. Interpretato da William Dafoe è la storia di un regista ammalato terminale che si reca negli Stati uniti per cure specialistiche. Lì incontra la «morte» e le chiede come ultimo desiderio di poter realizzare un film. Erano gli anni Novanta quando a Babenco fu diagnosticato un tumore contro il quale ha lottato a lungo.