Berlusconi non l’aveva portato la cicogna», scrive Ida Dominijanni in conclusione del suo libro bello e complesso Il trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi (Ediesse, pp. 251, 14 euro) che sarà presentato domani 18 dicembre a Roma (con Maria Luisa Boccia, Laura Bazzicalupo e Mario Tronti, ore 17.30, Fondazione Basso via della Dogana Vecchia 5). Insomma, Berlusconi non era inevitabile, si sarebbero potute imboccare altre strade. Una verità semplice, quasi elementare eppure difficile da decifrare, come si è visto nei vent’anni in cui il proprietario di Mediaset è stato al centro della scena del nostro Paese. E come si ricava dalla lettura di questo saggio avvincente e stratificato, che fa della fine del leader che ha dominato la scena italiana un caso esemplare di storia politica, ben oltre la dimensione della cronaca e anche dei puntuali commenti con cui l’autrice ne ha accompagnato la vicende sulle pagine di questo giornale, per non parlare del registro ammiccante che ha imperversato per anni nei media italiani.

Berlusconi o della via italiana alla governance neoliberale, questa l’ottica attraverso la quale Dominijanni invita a leggere i vent’anni appena passati. Quindi non pura anomalia, non una democrazia malata nel contesto delle virtuose e risolte democrazie europee e in generale occidentali, secondo l’interpretazione cara a buona parte dell’opposizione all’ex-cavaliere, soprattutto alla sinistra moderata e radicale.

All’opposto, il caso estremo di una torsione possibile e praticabile della rappresentanza, della ridefinizione del rapporto tra chi elegge e chi viene eletto, deviazione considerata con grande preoccupazione nel contesto internazionale, come risulta dalla ricca bibliografia che accompagna il testo, esempio perverso di sostituzione della rappresentanza con la «presenza». Come se, nell’offrirsi in pasto in corpo e figura, per così dire, si mettesse in scena un rapporto diretto tra leader e rappresentati, senza mediazioni, cancellando istituzioni, regole, corpi intermedi. E non ci vuole molto a vedere che questo è esattamente ciò che avviene nelle democrazie, questo è quanto prosegue del berlusconismo, in Italia e in Europa, nelle nuove leadership populiste.

Per ricostruirne il quadro Ida Dominijanni si avvale di chiavi di lettura plurime. La più originale è, rispetto alla vulgata, una periodizzazione della vicenda italiana diversa da quella consueta, «che fissa l’origine del ventennio berlusconiano nel crollo del sistema politico della cosidetta Prima Repubblica nel ’92-93», all’epoca di mani pulite.

Per effettuare questo spostamento Dominijanni si riferisce con formula originale alla «congiuntura Sessantotto-femminismo», ovvero ai movimenti a cui fin dagli anni Settanta la politica ufficiale, e la sinistra in particolare, non hanno dato risposta, lasciando via libera all’instaurazione a partire dagli anni Ottanta dell’ideologia e delle pratiche governamentali neo-liberali. Originale in modo speciale è l’associare Sessantotto con il femminismo, movimento che è tuttora tenuto fuori della ricostruzioni correnti della storia italiana.

È questo l’asse che permette a Dominijanni un’interpretazione chiara dei fatti di cui tutt* siamo stat* partecipi, più o meno morbosi. È la congiuntura Sessantotto-femminismo che ha fatto saltare l’asse pubblico-privato, in una via che dal «vietato vietare» ha portato a «il privato è politico». Sono le donne che escono dal dominio patriarcale a far saltare i confini, a uscire dalla zona d’ombra della vita famigliare in cui sono relegate.

L’effetto è dirompente. Sono tre figure femminili a far saltare la costruzione berlusconiana. Ricostruisce Dominijanni: l’intellettuale (la politologa Sofia Ventura), la moglie (Veronica Lario), la prostituta (Patrizia D’Addario). Tre donne che parlano, che dicono in pubblico quello di cui il sistema patriarcale non si è mai curato, perché consegnato al silenzio del privato. A queste donne, le prime, se ne son poi aggiunte altre, che abbiamo imparato a conoscere per nome. Noemi Letizia, Ruby, quelle che tutti ormai chiamano le Olgettine.

È inutile ricostruirne la cronaca, processi, condanne e assoluzioni dell’ex premier ancora ci accompagnano, sono il pendant del suo declino politico. Il punto dolente è che la sinistra, quella sinistra che ha tagliato con la «congiuntura Sessantotto-femminismo», insomma l’ampio fronte dell’opposizione a Berlusconi, ha rifiutato questa lettura.

Il privato è privato, è stato detto, quello che ciascuno fa a casa sua sono affari suoi. Senza comprendere che il centro della governance berlusconiana, il «trucco» come lo definisce Dominijanni, era il «virilismo virtuale», «ricostruzione artefatta di una potenza perduta», punto nel quale ha preso corpo il primo importante discorso pubblico da parte di uomini sulle maschere della virilità. Un trucco che si perpetua anche nel nuovo leader, Matteo Renzi, in altra forma, ovvero: non il noi possiamo, ma «tu sai fingere di potere quello che noi non possiamo».

Senza ascoltare il femminismo, sostiene Dominijanni in pagine molto efficaci, la sinistra, o meglio gli uomini della sinistra, si sono condannati all’autoreferenzialità, incapaci di comprendere quanto avviene, nell’impossibilità di trovare l’exit strategy dalla crisi. Eppure le donne sono parte del gioco, argomenta puntualmente l’autrice del libro. Che sulla libertà delle donne, e l’esito della parola libertà diventata appannaggio della destra, costruisce un’altra delle sue illuminanti chiavi interpretative. Fare del proprio corpo e della bellezza una vera propria arma della politica e del potere è oggetto non solo di dibattito politico tra donne, ma diventa uno strumento di politiche e di governance, come mostra il governo Renzi. Che, come Berlusconi, le usa, ma in una forma desessualizzata moderata e tranquillizzante, nota Domininjanni.

Perché anche il genere, nella presunta libertà performativa del neoliberalismo, è un trucco. Da smascherare.