Ne chiedevamo uno, grande. Uno sciopero finalmente unitario che rappresentasse plasticamente il rifiuto radicale della società italiana di un progetto di riforma che mira a distruggere la scuola della Costituzione. La scuola disegnata da Renzi cancella i principi fondativi della scuola della Repubblica italiana, sostituendoli con gli sponsor, i bonus, gli statuti, le squadre (sic). Trasformando le scuole in un unico, aberrante agone competitivo, in cui vincerà il dirigente-padrone che avrà attirato con ogni mezzo maggiori investimenti privati e che avrà strappato ai suoi colleghi i migliori mandingo da esibire a inizio d’anno, sostituibili dopo un triennio con esemplari più organici, acritici e «adatti».

La mobilitazione contro un disegno di legge inemendabile è partita ieri con lo sciopero proclamato da Anief, Autoconvocati Scuole Roma, Cub Scuola, Orsa, Slai Cobas, Unicobas, Usb, Usi, e continuerà a staffetta con lo sciopero del 5 maggio, proclamato dai Cobas e da Flc-Cgil, Cisl scuola e Uil scuola, Gilda-Unams, Snals-Confsal, insieme all’Unione degli Studenti, Link Coordinamento Universitario e Rete della Conoscenza, e ancora con la data del 6 maggio individuata dai Cobas, per concludersi il 12 maggio con l’ultimo, grande sciopero anti-Invalsi proclamato dai Comitati di Base.

Una grande maratona che porterà in piazza, a più riprese, migliaia di lavoratori e di studenti, uniti nel rifiuto incondizionato di un progetto di riforma che, agli albori del terzo millennio, disegna una scuola feudale, vocata a preparare gli abitanti afasici di cui la società del neocapitalismo globale ha bisogno. Non più luogo di formazione di cittadini istruiti, consapevoli e capaci di pensiero critico ma brodo di coltura di individui spenti, antropologicamente mutati, addestrati alla competizione e all’alienazione dall’uso pervasivo delle nuove tecnologie e dei test, dei registri informatizzati e degli open data, precoci vittime sacrificali di un mercato del lavoro e del consumo che vuole i giovani stritolati fin dai banchi di scuola.

Il progetto di riforma della scuola del Governo non può essere oggetto di patteggiamenti. Che sia ben chiaro a Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda, fino a ieri fermi alla sola astensione per dieci giorni dalle attività aggiuntive: una protesta risibile, che ha offeso la nostra intelligenza di lavoratori. Come recita il comunicato dei sindacati confederali, lo sciopero del 5 maggio costituisce «una decisione presa a sostegno delle richieste di modifica al ddl di riforma della scuola all’esame delle Camere». Cosa chiedono allora i sindacati tradizionali? Solo la cancellazione dell’art. 12 del ddl, che impedisce la nomina dei precari che hanno già effettuato 36 mesi di supplenza; la ricontrattualizzazione degli istituti da trasformare in riserva di legge – per esempio, trasferimenti e titolarità – e la riapertura delle trattative contrattuali, lasciando invariate le 13 deleghe che il Governo impone al Parlamento per riservarsi lo stravolgimento futuro dello stato giuridico dei docenti e la funzione che la Costituzione assegna alla scuola. Non ci siamo.

Renzi avrebbe la possibilità di impedire lo sciopero del 5 maggio rispondendo positivamente con emendamenti governativi ad hoc alle parziali richieste del blocco sindacale confederale. Questa soluzione sarebbe inaccettabile, perché lascerebbe inalterato l’impianto liberticida della riforma. Diciamo ai sindacati, a tutti i sindacati, che questa volta occorre una risposta radicale, senza compromessi, senza cedimenti. Questa sì, davvero unitaria, contro un progetto di riforma della scuola che esaspera in chiave patologica l’autonomia scolastica. Che non è bene privato di un singolo dominus, o pietanza à la carte di malsani appetiti, ma la più nobile istituzione dello Stato, perché è la scuola che ci rende cittadini liberi, nella totale autonomia da qualunque ingerenza politica o interesse economico.

Tutti i sindacati ci hanno chiamato in piazza per un grande sciopero-staffetta e noi – lavoratori, studenti, esponenti della società civile – ci saremo. Ma la nostra grande mobilitazione non finirà con qualche emendamento che restituisca una parvenza di senso e di legittimità a chi firma i contratti. L’obiettivo da raggiungere, per tutti, è l’impegno del governo ad un investimento costante nell’istruzione pari alla media europea, l’assunzione immediata di tutti i precari sui posti disponibili, il ritiro del disegno di legge del governo, che calpesta la Costituzione e incastella la buona scuola della Repubblica italiana in un coacervo di feudi e potentati locali.
Hic labor, hoc opus est.