Tenuta a battesimo dalla manifestazione romana dello scorso 28 marzo, la nuova alleanza «fascio-leghista» guidata da Matteo Salvini sembra incarnare ad un tempo l’estrema velenosa eredità del ventennio berlusconiano, «l’ultima raffica» di Arcore si sarebbe portati a pensare, ma anche l’annuncio di ciò che il radicalizzarsi della crisi economica potrebbe produrre in termini di ricomposizione politica in seno alla destra italiana.

In realtà, la foto di partenza del fenomeno sembra racchiudere più debolezze che potenzialità: da un lato la crisi verticale di consensi conosciuta solo fino allo scorso anno dalla Lega dopo gli innumerevoli scandali che hanno visto coinvolte delle sue figure di primo piano, dall’altra la condizione di «orfani» che si respira negli ambienti della «destra nazionale», sia presso i postfascisti a vario titolo provenienti da Alleanza Nazionale che tra i neofascisti, o i «fascisti del terzo millennio», che si muovono nello spazio gruppuscolare compreso tra Casa Pound e Forza Nuova, dopo la caduta di quel Cavaliere che aveva contribuito non poco a legittimarne l’azione.

In questo contesto, l’opzione inaugurata da Salvini sembra essere quella di un’estrema radicalizzazione delle parole d’ordine – ruspe contro i campi rom, malintenzionati che escono “stesi” da casa mia, perché «non c’è nessun eccesso di legittima difesa», immigrati che vanno fermati «a casa loro», ma anche il tentativo di darsi un prifilo sociale contestando la riforma Fornero delle pensioni -, che scommette sul fatto che in tempi di crisi, al peggioramento delle condizioni di vita, può ben accompagnarsi un’ulteriore impoverimento e estremizzazione della retorica politica. Si parla di «lepenizzazione» della Lega, quando in realtà lo sforzo compiuto dalla leader del Front National va, almeno per quanto riguarda il trovarsi ancora invischiata con i simboli del passato neofascista, nella direzione opposta.

Al contrario, la Lega nella sua versione ribattezzata da Gad Lerner come «fascio-leghista», punta, nel suo tentativo di trasformarsi da movimento del Nord in partito della protesta di caratura nazionale – mutuando, in questo sì dai francesi il riferimento costante alla «preferenza nazionale» -, ad utilizzare le residue energie dell’estrema destra nostrana.

Un’operazione inaugurata fin dalle elezioni europee dello scorso anno con l’elezione di Mario Borghezio nel collegio dell’Italia centrale grazie al supporto logistico del circuito di Casa Pound che, nelle medesima prospettiva ha lanciato la nuova sigla di «Sovranità», «che si propone di aggregare tutte le comunità politiche di matrice sociale e identitaria che vogliono sostenere Matteo Salvini senza tentennamenti»: in altre parole un «comitato elettorale» dell’area neofascista che dreni consensi a favore della Lega.

Questo, mentre a livello simbolico, è il riferimento alla Russia di Putin come modello di difesa dei valori della tradizione e dell’identità europea, da contrapporre alla «decadenza morale e demografica» del Vecchio continente, a suggellare l’abbraccio tra i verdi ed i neri.