Ci vorranno ancora dieci giorni per sapere se il quesito referendario è «neutro» e «automatico» come sostiene il governo e tutti i suoi luogotenenti, oppure «fuorviante e truffaldino» come sostiene buona parte del fronte del No. La via dei tribunali dunque non è ancora chiusa. Arriverà a metà ottobre, probabilmente il 17, la sentenza del Tar del Lazio sul ricorso presentato martedì dai 5 stelle e da Sinistra italiana e che chiede la sospensione e l’annullamento del decreto con cui il presidente della Repubblica Mattarella lo scorso 27 settembre ha indetto il referendum del 4 dicembre. Appunto, perché la sua formulazione, secondo i legali, è ingannevole.

Ieri la presidente della seconda sezione bis del Tar Elena Stanizzi ha convocato le parti – c’era anche l’avvocatura di Stato – per l’illustrazione generale del ricorso. Alla fine ha messo in agenda «un’udienza straordinaria di discussione davanti al collegio». Al termine della quale la sentenza sarà pubblicata «in tempi brevi».

Il ricorso è stato accolto, è questa è una buona notizia per il fronte del No. Ma la data di convocazione della nuova udienza invece non li fa ben sperare. In teoria i giudici potrebbero confermare il provvedimento di indizione del referendum, oppure annullarlo fornendo anche indicazioni su eventuali correzione del quesito; o infine dichiarare che la materia non compete a loro. Ma per il secondo caso, quello che si augurano M5S e Si, il tempo è una variabile importante. Solo fino al 15 ottobre il quesito può essere riformulato confermando il voto del 4 dicembre.

La vicenda è molto più intricata di come il presidente Renzi annuncia dai palchi di tutta Italia con tanto di slide. Secondo l’avvocato Enzo Palumbo, uno dei legali del Comitato del No, il testo del quesito può non essere lo stesso della richiesta di referendum firmata dalle opposizioni; e comunque deve contenere l’indicazione di tutti i punti della Costituzione soggetti a modifica in base all’art.16 della legge istitutiva 352 del 1970. Per i ricorrenti la Cassazione ha sbagliato ad ammettere una formulazione «en rose».

D’altro canto oggi risulta lampante che proprio sul quesito «accattivante» il governo puntasse per guadagnare qualche consenso al Sì. Renzi infatti lo ha sventolato in tv sin dal 23 settembre, e cioè quando ancora la data del voto non era fissata. Ben consapevole di poterne fare strumento di campagna elettorale, laddove in tutti gli altri precedenti il testo era rimasto confinato nella cabina elettorale. In questi giorni il quesito viene fatto girare nei media, sui social e sui giornali: proprio come un spot.

Quella del 17 ottobre non è l’unica sentenza in arrivo. L’ex dc ed ex forzista Giuseppe Gargani, presidente del Comitato popolare per il No, già a maggio aveva presentato in Cassazione un’istanza per contestare il quesito, ma si era sentito rispondere di essere arrivato in ritardo: la Corte aveva già deciso, «appena venti minuti prima». E però Gargani contesta che la Corte aveva 30 giorni per pronunciarsi. Per farla breve, si è rivolto al giudice ordinario che dovrebbe decidere il 7 novembre.

Non è finita. Al tribunale civile di Milano pende un’altra azione sulla legge del 1970, un ricorso che punta a verificare il corretto utilizzo dello strumento referendario e chiede di rinviare alla Consulta la legge 352 nella parte in cui non prevede che la Cassazione abbia il potere di spacchettare il quesito «per materie omogenee». L’udienza è prevista per il 20 ottobre.