A 30 anni da Terminator, Blade Runner, Hollywood continua a metabolizzare la crisi identitaria della terza rivoluzione tecnologica con una crescente iconografia robotica. Da Transformers a Her il cinema fotografa un immaginario pre – e post apocalittico sempre più popolato di zombie e di androidi. Nel mezzo arriva anche Big Hero 6 l’ultimo lungometraggio Disney di era Lasseter che rielabora l’archetipo del robot amico avvicinandosi alla grazia di precedenti illustri come il Gigante di Ferro. Il film esce dalla «factory» di Burbank e nel ventesimo anniversario di Toy Story dunque, Big Hero esprime perfettamente il Lasseter-pensiero, quello cioè del fautore della convergenza Pixar-Disney consumata nell’acquisto «amichevole» di due anni fa.
Lasseter nasce come superfan Disney, sin dagli anni in cui lavorava da guida per turisti a Disneyland, ma è anche nerd antesignano, appassionato di tecnologia, cresciuto all’ombra del mecenate/amico di Steve Jobs con cui ha fondato l’impero di computer animation che ha spostato il baricentro di Toontown verso Silicon Valley. Lui che era stato esiliato dallo studio di Walt ora è tornato trionfalmente a Burbank da capo: un pioniere tech che paradossalmente il massimo successo commerciale lo ha ottenuto l’anno scorso con il fiabesco Frozen. Mentre presiede all’uscita di Big Hero 6, a Los Angeles ci ha dato uno scorcio della sua vita «bipolare». «Passo lunedì alla Pixar, martedì e mercoledì sono quaggiù alla Disney, poi giovedì e venerdì di nuovo Pixar. Vado avanti e indietro, ormai ci ho fatto l’abitudine. Vuol dire un paio di notti a settimana lontano dalla famiglia, ma anche loro pensano valga la pena per quello che riusciamo a dare al pubblico di tutto il mondo.»

Qual’è la differenza fra un film Disney e un titolo Pixar?
«I film Pixar sono un po’ più ‘contemporanei’ anche se è vero che alcuni come Ralph spaccatutto e in fondo anche Big Hero 6, in realtà potrebbero provenire da ambedue gli studios. La differenza fondamentale deriva dal retaggio di ciascuno. In entrambi gli studios vanno molto fieri della propria tradizione. La Pixar è lo studio che ha inventato gran parte di ciò che è oggi la computer animation, con Steve Jobs, Ed Catmull e un piede fermamente piantato a Silicon Valley. Si respira un’aria indescrivibile nella Bay Area, qualcosa che ti spinge costantemente a cercare qualcosa di nuovo. È su questo che si fonda la Pixar, dove tutto avviene al servizio della creatività. È una ricetta che ora ho voluto applicare nuovamente alla Disney dove un certo tipo di management aveva smarrito la giusta via, i principi che avevano sempre guidato Walt Disney. Così abbiamo rimosso qualche manager e affidato più responsabilità direttamente a registi e animatori, tutta quella gente che lavora alla Disney perché ama farlo.»

Big Hero 6 con la sua trama tecnologica in un certo senso sembra il frutto di un perfetto sincretismo…
«Fa parte di chi sono. Io sono un geek (un tipo eccentrico, ndr) nato. Con Steve Jobs eravamo amici fraterni e quando mi invitava a parlare di progetti e mi faceva vedere tutti i gadget ancora top secret in fase di progettazione, per me era come un bambino che passava un pomeriggio all’ufficio di papà. Ricordo quando mi disse: ‘John lo sai quanto dura in fondo la vita dei nostri computer? Tre, forse cinque anni? Poi diventano dei pezzi ferraglia. Le cose che fai tu invece, se fai bene il tuo lavoro, possono durare per sempre’.»
I registi di Big Hero 6, Don Hall e Chris Williams sono disneyiani doc con un gusto per le gag giocate sulla fisicità e plasticità dei personaggi
Don Hall: «Per la realizzazione del film abbiamo fatto molta ricerca nel campo della robotica ed è sorprendente a quanto tempo fa risalga l’idea dei robot. Ad esempio abbiamo trovato molti primitive robot giapponesi fatti ancora di legno e ingranaggi di ferro, oggetti più «teatrali» che pratici. Chris Williams: «Cerchiamo sempre di raccontare storie ambiziose, spaziare in mondi affascinanti. Ma in fin dei conti a volte nell’animazione contano più i limiti che ti poni. Baymax ha un espressione minima, due occhi neri e basta, ma uno sguardo può significare così tanto…»

Possiamo definirla la forza del minimalismo?

Chris Williams: «A volte è meglio eliminare ciò che è superfluo e optare per la semplicità espressiva della recitazione che può voler dire tutto».

La vostra storia si svolge in una West Coast così high tech da essersi «fusa» con l’Asia, con Tokyo..

Don Hall: «San Francisco è stata una scelta naturale per le caratteristiche che ha il suo paesaggio con quei luoghi iconici. Poi abbiamo proposto di aggiungere un look giapponese e inventare una nuova città e alla Marvel (proprietaria della storia, ndr) ci hanno detto di fare pure»

In qualche modo ricorda la Los Angeles di Blade Runner…. 

Chris Williams: «Assolutamente sì. E ricordo, quando ho visto quel film per la prima volta, di avere avuto la sensazione che gli autori avessero una piena conoscenza del mondo che avevano creato, che ne conoscessero i contorni anche fuori dallo schermo. Non accade spesso ed è qualcosa che abbiamo cercato di ricreare in Big Hero 6».