Quel muro da 3200 chilometri con il continente americano tagliato in orizzontale dall’Oceano Pacifico al Golfo del Messico potrebbe scricchiolare. Prima ancora di essere costruito, anzi portato a termine, perché i primi mattoni della possibile barriera tra Messico e Stati Uniti sono stati piazzati durante l’amministrazione Clinton. La voce contro Donald Trump che intende rendere complicato il pass negli Usa per i messicani arriva forte anche nel mondo dello sport, che con estrema fatica – e con una serie di tweet, post e pubbliche prese di posizioni a favore del presidente uscente Barack Obama – aveva assistito al giuramento, una settimana fa, del nuovo inquilino alla Casa Bianca. Dal calcio al football, al basket.

Un flusso di manifestazioni di dissenso per The Donald diluite nelle ultime settimane. Tra le più cliccate in Rete, la foto del celebre muro giallo del Borussia Dortmund, storico settore dello stadio del club tedesco da oltre 25 mila persone, accompagnata sull’account twitter del Dortmund dal tweet: l’unico muro in cui crediamo. Migliaia e migliaia di clic, non solo tifosi gialloneri. In poche ore è divenuta la pagina, anzi un muro su cui costruire il sentimento di disapprovazione per la decisione del presidente americano. Che di sicuro non cambierà idea neppure leggendo il tweet dell’ex capitano della Nazionale messicana di calcio Rafa Marquez, tanti trofei al Barcellona – in Italia due anni al Verona – ma soprattutto leggenda nel Paese centroamericano.

“Non c’è nessun muro capace di fermarci se crediamo in noi stessi” ha scritto Marquez. Ma Trump invece dovrà prestare almeno attenzione ai nemici in patria. Per esempio alla National Football League che qualche settimana fa, attraverso il commissioner Roger Goodell, preannunciava che nessun muro ostacolerà il prossimo ritorno del football in Messico, dopo la gara di stagione regolare tra Houston Texans e Oakland Raiders disputata lo scorso novembre allo stadio Azteca senza un seggiolino libero.

E non si tratta solo di rifiuto dell’intolleranza mostrata da Trump verso il popolo messicano ma anche rispetto per gli affari, la prima legge dello sport a stelle e strisce. Infatti mostra inalterata apertura verso i messicani la Nba, che anzi vede nel Paese centroamericano un serbatoio da miliardi di dollari, mercato dinamico con la crescita della middle class messicana che spende per vedere le partite dal vivo, acquistare magliette e gadget della Lega. Mentre nei progetti del soccer – e anche della Fifa – Stati Uniti e Messico potrebbero ospitare assieme la fase finale dei Mondiali 2026.

Insomma, lo sport è pronto a schierarsi a favore dei messicani e non sarebbe neppure la prima volta. Sette anni fa il governo dell’Arizona, stato al confine con il Messico e con centinaia di immigrati clandestini, approvava una legge razzista piazzando il bollo sulla famigerata SB 1070, la più repressiva nella storia americana: forze dell’ordine che potevano chiedere documenti agli stranieri sospettati di non essere in regola in base al racial profiling. Sostanzialmente, in base all’aspetto, con arresti anche immotivati per eventuali casi di immigrazione clandestina.

Polemiche, grido di violazione di libertà di Barack Obama, con ispanici schierati contro la governatrice dell’Arizona, Jan Brewer, E sul parquet si facevano sentire anche i Phoenix Suns, Nba, franchigia dell’Arizona: canotta esibita con la scritta Los Suns contro i San Antonio Spurs il 5 maggio, festa nazionale per i messicani. Un omaggio agli ispanici, un richiamo alla legge uguale per tutti. E un possibile esempio per una mobilitazione concreta contro il delirio razzista di Trump.