Proviamo a riflettere su due recenti affermazioni provenienti direttamente dal cerchio ristretto berlusconiano e dal presidente del consiglio. Denis Verdini rivolgendosi a Capezzone: «Dovresti capire che questo governo ha fatto tutto quello che poteva fare che ci andasse bene, come la legge elettorale» (la Repubblica 2 ottobre). Matteo Renzi alla City di Londra: «L’articolo 18 rappresenta una mancanza di libertà per gli imprenditori» (Idem).

La lunga fase politica in cui siamo immersi è contraddistinta dalla lotta per il «riconoscimento». In tali fasi la gestione del potere e la prassi di governo sono affidate, come ha affermato un grande intellettuale, recentemente scomparso, Mario Miegge, «per lo più a idioti – nel senso dell’etimo greco, che designa il proprio (idios), la ristretta particolarità del privato contrapposta al pubblico».

Nel caso di Verdini e di Renzi è del tutto chiaro che si tratta di un caso di «idiozie» convergenti in un orizzonte condiviso, di una «profonda sintonia» tra i contraenti del patto del Nazareno. Verdini dice con sincerità, con candida sincerità consapevole di non suscitare nessun scandalo, ciò che solo «l’idiozia» di coloro che hanno un diretto (o indiretto) e particulare modo di partecipazione agli effetti del “patto” finge di ignorare. Dice, cioè, non solo che i confini tra il partito di Berlusconi e quello di Renzi sono permeabilissimi, ma che tra le parti fondamentali del primo e quelle del secondo vi è una vera e propria osmosi cementata da un solidissimo grumo comune di interessi.

L’osservatorio parlamentare e politico openpolis ha quantificato in percentuali intorno al 90% i voti congiunti di Forza Italia e Pd e sempre intorno alle stesse percentuali le opinioni convergenti di esponenti dei due partiti. Il sistema politico che si sta delineando, dunque, è quello imperniato su due partiti, tendenzialmente due soli, come è stato ribadito in questi giorni dal presidente del consiglio.

Tra i due partiti non esiste nessuna netta frattura longitudinale, ne esistono invece di trasversali a seconda dei diversi gruppi di interesse. Fratture fluide e ricomponibili, pronte a riformarsi su linee diverse, a seguito delle contingenze. Al momento l’osmosi riguarda direttamente i gruppi di comando e quindi appare particolarmente solida. Uno dei gruppi di comando è la risultante del progetto Berlusconi-Dell’Utri–Previti e quindi può definirsi, sulla base di documentate sentenze, come risultante di un’operazione in cui sfera politica e sfera criminale non sono separabili. La rimozione costante di quest’aspetto è indicatore sicuro del livello di mitridatizzazione raggiunto. È indicatore sicuro di come all’interno di una più generale tendenza all’inversione del processo democratico che riguarda tutti i paesi avanzati, la decadenza italiana mostri anche un livello insopportabile di putrefazione del tessuto etico-politico. Il fatto che sia, invece, sopportato benissimo è un ulteriore indicatore di quanto sia esteso e profondo.

Le promesse della modernità, secondo Renzi, hanno come paradigma non la democrazia, cioè la tendenza verso forme via via più organizzate di uguaglianza, bensì la «libertà degli imprenditori». D’altra parte le modernità sono molteplici e la forma del capitalismo moderno, quello del sistema di fabbrica, si è definito nella sua genesi, per dirla con un’icastica espressione di Bauman, «nella lotta per il controllo del corpo e dell’anima del produttore» (1982)».

I lavoratore, merce forza-lavoro, si presenta sul mercato come funzione della «libertà» di chi ha il potere di acquistare la merce in oggetto. Renzi si trova ad essere del tutto interno alle tendenze di una fase in cui le forze davvero decisive e dominanti trovano necessario riproporre le dinamiche dell’«accumulazione originaria». Dunque la cosiddetta «rivoluzione renziana» è la forma attuale della ragione del «capitalismo assoluto», che è appunto, la ragione della fase genetica e affermativa. Dopo una lunga fase di «capitalismo costituzionalizzato», la «rivoluzione» ha assunto nuovamente il suo significato etimologico: ritorno al punto di inizio.

Non solo, quindi, non c’è nessuna novità analitica (la parola è grossa per la politica degli «idioti», si tratta solo di assunzione della retorica ideologica dominante), ma non ci sono nemmeno particolari novità rispetto alla tradizione culturale del Pd. Ricordiamo perfettamente come il responsabile economico del partito da poco fondato (Tonini, marzo 2008), articolasse la sua visione del rapporto economia società parafrasando quasi alla lettera La favola delle api di Bernard de Mandeville. Un testo settecentesco esemplare della fondazione della ragion capitalistica assoluta. Renzi non rivoluziona neppure il Pd, anzi del Pd è «rivelazione».

La sinistra si rende conto di quello che sta succedendo? Sembra faticare a guardare in faccia la catastrofe. Sembra riproporre lo schema della tela di Penelope.

L’esperienza della lista Tsipras, con tutte le difficoltà, debolezze, contraddizioni, è stata un momento positivo nella tessitura della tela. È il caso di ricordare ancora una volta quello che ha scritto a proposito Marco Revelli: cioè che i contributi di «molteplici identità sono stati, e soprattutto sono, tutti egualmente preziosi, [E]dovremmo proporci, d’ora in avanti, di non smarrirne neppure uno, per settarismo, supponenza, trascuratezza». Ci sono tutti i segni che indicano la fatica ad affermarsi di quella essenziale lezione. Sta ricomparendo un lessico apparentemente del tutto di buon senso che invece lancia precisi messaggi. Chi infatti può essere favorevole alla costruzione di una sinistra connotata da «estremismo», «minoritarismo», «identitarismo» etc.? Qualcuno ha sostenuto addirittura la necessità di separazione dai difensori dell’ «ortodossia» (???). Non c’è limite al senso del ridicolo: quale «ortodossia» c’è oggi in campo?

L’uso di questa terminologia rientra nel vizio così comune alla politica nel tempo della retorica manipolatrice, della retorica senza prova. Ognuno di questi termini dovrebbe essere vagliato alla pietra di paragone delle reali posizioni politiche e dei comportamenti. I modi di partecipazione alla lista Tsipras sono la prova di fronte a cui la retorica si mostra davvero nella sua funzione di velo ideologico.

Se le parole sono ingannatrici il messaggio però è chiaro. Si può sfuggire al minoritarismo solo attraverso la rifondazione del centrosinistra. Naturalmente un centrosinistra «rinnovato», aperto all’influenza vivificatrice di quella sinistra non «estremista», non identitaria», non «ortodossa», la sinistra della «cultura di governo». Posizione perfettamente legittima che sconta però due ostacoli. Sconta la rottura completa con l’esperienza della lista Tsipras il cui progetto è quello della costruzione di una forza non solo del tutto autonoma dal Partito-di-Renzi (l’espressione com’è noto è dell’ «estremista» Ilvio Diamanti), il che è del tutto ovvio, ma anche conflittuale con ciò che quel partito rappresenta. È possibile evitare il conflitto tra la ragione del capitalismo assoluto e la ragione dell’eredità della storia del movimento operaio?

Naturalmente questo può non essere un problema: perché non impedire il percorso iniziato con la lista Tsipras se il centrosinistra è l’unico orizzonte ritenuto praticabile? L’altro ostacolo è però più difficile da rimuovere: la realtà. La dimensione strutturale del Partito-di-Renzi, il suo sistema di riferimenti, l’insieme di poteri davvero forti che lo sostengono, può essere modificato dalla presenza nell’alleanza di una sinistra che «minoritaria» lo è per davvero?