Quando il direttore di Charlie Hebdo, Gérard Biard è infine salito sul palco del Pen Awards si è rivolto alla platea di gremita di glitterati newyorchesi venuti ad onorare il suo giornale al museo di storia naturale di New York:: «Dobbiamo combattere l’oscurantismo politico e religioso – ha esordito -. Più siamo forti e più deboli saranno loro». Le sue parole sono state accolte con scrosci di applausi dal pubblico del Literary Gala & Free Expression Awards la cerimonia della società degli autori che ogni anno riconosce scrittori perseguitati nel mondo. I redattori del giornale satirico quest’anno erano gli ospiti di onore ma anche al centro di una ennesima polemica.

I vignettisti francesi sopravvissuti alla strage del 7 gennaio sono stati insigniti del premio per il «coraggio della libera espressione». Una iniziativa da cui si sono però notoriamente dissociati con una lettera aperta più di 200 autori appartenenti alla associazione, fra cui Joyce Carol Oates, Eric Bogosian e Michael Ondaatje. «È indubbio che l’assassinio di una dozzina di persone nella redazione di Charlie Hebdo sia una immane tragedia» hanno scritto i firmatari della protesta. «Ma questo premio, hanno aggiunto, rischia di onorare anche «materiale atto ad intensificare sentimenti anti islamici, anti maghrebini e anti arabi già troppo prevalenti nelle società occidentali».

Gratuite provocazioni

Oltre ai dissociati del Pen, contro le «intemperanze satiriche» si sono espressi recentemente intellettuali, esponenti islamici moderati, leader religiosi – perfino un disegnatore come Garry Trudeau. Il mese scorso in un editoriale sul Washington Post il padre di Doonesbury ha preso le distanze dagli «oltranzisti della libera espressione» colpevoli di un «fanatismo deleterio» quanto quello che intendono criticare. Ricordando la vicenda delle vignette danesi, Trudeau ha accusato di provocazione gratuita anche i disegnatori di Charlie Hebdo che invece di denunciare gli abusi dei potenti avevano scelto di scagliarsi contro una religione di poveri e ottenuto il «raccolto amaro» dell’odio di tutti i musulmani francesi.

Quella di Trudeau è stata una critica «interna», allineata in parte con coloro che hanno segnalato l’ipocrisia di un colpevole occidente che dall’alto del suo privilegio pretende di dileggiare i deboli, già vittime dei suoi soprusi storici. In America altre più virulente invettive hanno paragonato le vignette di Hebdo ai disegni antisemiti della propaganda nazista, sottolineando in parte la differenza fra le concezioni europee ed americane della libera espressione. Negli Usa la freedom of expression è infatti è un valore costituzionalmente codificato nel riverito «first emendment» che tutela ad esempio la stampa più efficacemente che in Europa. Altrettanto forte però, e forse anche di più, è la reverenza per la «libertà di religione» intesa come pluralismo religioso, precetto altrettanto fondamentale in una mitologia nazionale dove invece il laicismo è valore decisamente minore.

L’equilibrio precario fra quei pilastri è stato rimesso in discussione dal dibattito «post-Hebdo» che ha gettato non poco scompiglio lungo le fluide demarcazioni fra laicità e integralismo. È emersa ad esempio una accesa polemica contro «l’estremismo laico». Molti intellettuali, anche di sinistra, hanno deplorato la vignette sacrileghe dei disegnatori francesi come indicative di una intolleranza speculare al razzismo. Su twitter Glen Greenwald inveisce spesso contro la «laicità militante» come un cavallo di troia che sdogana un malcelato suprematismo occidentale. Il dibattito è degenerato in bagarre da quando Bill Maher il comico Hbo, ha fatto del suo talk show Real Time una piattaforma di polemica «da sinistra» contro l’oscurantismo islamico ed è stato tacciato di islamofobia da Rula Jebreal, Fareed Zakaria e altri esponenti di un emergente partito contrario al cosiddetto «neo-ateismo» espresso da autori come Richard Dawkins e Cristopher Hitchens.
Gli «anti atei» designano invece come intollerante ogni critica razionalista della religione – una posizione non poco problematica. I loro attestati di rispetto aprioristico della religione non risolvono infatti la questione di come criticarla. La tolleranza che esigono preclude in realtà il giudizio critico sull’oscurantismo, che, come il populismo, è emerso come dilagante fenomeno contemporaneo e di fatto riafferma un tabù religioso per la satira.

D’altro canto, come avvenuto in Francia, la bandiera della libera espressione è stata prontamente cooptata dalla destra xenofoba – gli organizzatori del concorso Draw Mohammed ad esempio «premiati» il giorno dopo l’attentato jihadista che ha chiuso il cerchio degli «opposti estremismi» riproponendo comunque la questione di oltranzismo e dissenso alla vigilia dell premio Pen.

Alla cerimonia di New York Beiard ha sentito dunque il bisogno di precisare: «La laicità non è un eccezione francese, è una condizione necessaria per la democrazia». «La bestemmia non è un delitto», ha aggiunto ribadendo il diritto di offendere. «Essere scioccati fa parte del dialogo democratico. Essere sparati no». La delegazione di Charlie Hebdo è stata preceduta dall’intervento di Dominique Sopo, direttore di Sos Racisme che ha attribuito le polemiche alla cattiva informazione su un giornale che ha definito storico alleato contro «razzismo, antisemitismo e islamofobia in Francia». «È importante capirlo per non uccidere una seconda volta le formidabili persone morte il 7 gennaio».

Un problema di libertà

In chiusura il presidente di Pen America, Andrew Solomon, ha rivendicato il diritto e il dovere della associazione di difendere a priori la libertà degi scrittori. «La difesa di persone assassinate per aver esercitato la propria libera espressione è la ragione stessa per la nostra esistenza – ha detto – tanto quanto la difesa della libera articolazione di punti di visti opposti. Il premio a Charlie Hebdo è motivato dal loro rifiuto di soggiacere alla violenza impiegata contro la loro libertà e di persistere nella satira anche dopo la strage. Chi di noi avrebbe lo stesso coraggio?»

La cerimonia nata per denunciare la persecuzione delle idee, ha detto il presidente, non poteva esimersi quindi dall’onorare Charlie Hebdo e smentire quello che ha definito il veto degli assassini. «C’è una grandezza nel dire ciò che ti è stato proibito di dire e così renderlo dicibile», ha concluso Solomon davanti ad una platea che comprendeva Tom Stoppard e Salman Rushdie. E improvvisamente è sembrata la sola cosa sensate da dire in un consesso di manovali dell’espressione.