Un caso giudiziario sulla sindrome sconosciuta di «negazione di gravidanza» è alla base dell’intreccio di Senza prove di Béatrice Pollet (Toi non plus tu n’as rien vu, 2002), con Maud Wyler e Géraldine Nakache, un dramma legale, un genere di tradizione nel cinema francese, applicato in questo caso a tematiche femminili.
Protagoniste sono due donne, entrambe avvocate, già compagne di studi. Una, Claire, è sotto processo accusata di aver ucciso e abbandonato il neonato e rischia l’ergastolo, l’altra, Sophie, ha preso in carico la sua difesa. Il film si apre su una famiglia serena, finché una sera il marito trova Claire accasciata in terra sanguinante, e la polizia avvertita da un vicino troverà un neonato in un sacchetto di plastica appoggiato su un cassonetto di fronte alla casa, un evento di cui lei non ricorda nulla. Si tratta di fatti di cronaca che in genere si riferiscono a donne senza mezzi economici prese dalla disperazione, ma qui il caso è diverso, coinvolge una famiglia benestante che ha già avuto due figlie ed è rimasta vittima di un caso clinico ben poco studiato, ma che esiste da sempre, come la gravidanza isterica che rappresenta il contrario. Infatti per una conformazione particolare (il capovolgimento dell’utero), il feto si forma a ridosso della colonna vertebrale senza che la gravidanza sia percepita perché non vi sono segnali di nessun tipo a riguardo.

IL FILM si sviluppa sul filo dell’amicizia protettiva tra le due donne e il sostegno del marito e soprattutto sui procedimenti del processo che mette alla sbarra la donna, con il sottinteso che è sempre lei a dover dimostrare la sua innocenza. Claire infatti sostiene di non essersi accorta della nuova gravidanza e di aver perso conoscenza al momento di un parto che non poteva immaginare. Nel contrasto tra la dura prova del processo e il clima affettuoso della famiglia, il mutismo e la chiusura che interviene in Claire come autodifesa, nel percepire i fantasmi delle situazioni familiari, è decisiva nel ritmo del film la linea di difesa che sembrerebbe impossibile da gestire, se non rifacendosi a elementi scientifici ancora poco conosciuti. Per questo il film è dedicato alla memoria di Felix Navarro, il medico fondatore dell’associazione francese per il riconoscimento della negazione di gravidanza. Dall’incontro con Navarro avvenuto una decina di anni fa la regista è venuta a conoscenza di questi drammatici casi ed ha iniziato a scrivere il film: «Ora il fenomeno è diventato più conosciuto, dice Pollet, è arrivato il momento di riconoscere i diritti delle donne accusate di mentire. Ho cercato una produzione per due anni e alla fine lo ha prodotto una donna»

LA TENSIONE del processo travalica il caso particolare e mette in evidenza gli stereotipi a cui sono soggette le donne alla sbarra, posizionando uno spettatore nelle diverse fasi dell’accusa e della difesa, facendo riflettere su questioni che riguardano oltre che il diritto, la maternità e i rapporti familiari. Come ha rilevato l’avvocata Marina Marino (docente in diritto di famiglia alla Luiss) nell’anteprima del film a C-Movie di Rimini, patrocinante di parte civile in un caso analogo in cui era coinvolta una bambina di dieci anni, figlia di una prostituta che la portava con sé sul lavoro con inevitabili conseguenze, questo fenomeno non viene riconosciuto, non esiste una norma di legge a riguardo, nessuna tutela per i neonati che sopravvivono né per le donne, nessun sostegno sociale, ma esistono invece norme punitive se il neonato muore.