«Abbiamo traslocato e ci siamo trasferiti a Montfermeil, a Goudreaux, un quartiere composto di baracche tutte uguali dove c’erano soltanto maghrebini. Assomigliava a un villaggio in Algeria, ma senza il sole, le palme e il gelsomino… Vivevo nell’anticamera della Francia. Quando ho cominciato le pratiche per cercare lavoro, mi hanno risposto: non vogliamo arabi. Mi sono sentita profondamente umiliata. Secondo me, ero francese… Ho imparato a conoscere il razzismo».

Sono le parole di Yamina in uno dei tanti spaccati estratti dal bel libro a fumetti Se ti chiami Mohamed, del francese Jérôme Ruillier, uscito nei mesi scorsi in Italia, edito da Il Sirente che, con questo titolo, inaugura la collana Altriarabi Migrante (patrocinio, Amnesty International). Un viaggio a ritroso nella storia dell’immigrazione maghrebina in Francia, in particolare quella algerina, dagli anni ’50 in poi. Un testo necessario per capire l’attualità, storie dure e tristi, ma anche di autodeterminazione e conquista di libertà, quelle che Yamina Benguigui, regista, produttrice, ex ministra francese di origini algerine, ha raccontato nella trilogia Mémoires d’immigrés del 1997 da cui ha realizzato tre diversi documentari, più volte premiati. Il lavoro affronta il tema dell’identità e del razzismo, dello sradicamento e dei ghetti, del dolore di sentirsi straniero in un paese che si pefcepisce come proprio

È a questo importante documento che si è ispirato Ruillier, seguendo lo sviluppo di Benguigui, restituendo i racconti e le interviste in forma di fumetto. Il tratto semplice ed elementare in bianco e nero, i personaggi rappresentati con volti di animali che ricordano grandi orsi umanizzati, invisibili, mimetizzati, come all’epoca erano i primi migranti che arrivavano nel paese dei lumi per ricostruire la Francia del dopoguerra. Forza lavoro usata, sfruttata, emarginata. Dapprima solo uomini, poi, dopo il ’74, anno in cui si approva il ricongiungimento familiare, anche donne e bambini.
«Quando entri alla Renault, guardano come ti chiami. Se ti chiami Mohamed, ti mandano in catena di montaggio». Una vita dura quella dei Mohamed e delle Fatma (donne arabe). Donne spesso costrette a stare chiuse fra quattro mura, a volte picchiate e sposate giovanissime contro la loro volontà. Altre che in Francia trovano il riscatto e la spinta per l’emancipazione, la separazione, il divorzio, l’alfabetizzazione. Infine i figli, francesi, spesso con il difficile e insostenibile compito di fare da tramite fra il paese d’origine e il nuovo, giovani che incarnano il ruolo di mediatori fra due culture così lontane. Esaltante il successo di Djamel che nel ’96 conquistò ad Atlanta la medaglia d’oro olimpica di judo. Toccante e attualissimo, Les Mohamed, uscito in Francia nel 2009, ha vinto il premio per miglior fumetto reportage. Abbiamo rivolto alcune domande a Jérôme Ruillier.

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Qual è il rapporto con il lavoro di Yamina Benguigui e qual è stato il procedimento per costruire il suo graphic novel?
Il testo di Yamina Benguigui mi sembrava ancora talmente d’attualità che per creare il mio album me ne sono appropriato, mantenendo la struttura iniziale scelta dall’autrice sia per il libro che per il documentario: le testimonianze presentate in modo frontale in cui la parola ha un ruolo preponderante nella narrazione, al di là delle immagini. Il lavoro di trascrizione sul tema dell’immigrazione (ho ripreso il libro quasi linea per linea), mi riportava regolarmente alla mia storia personale; mio padre ha fatto la guerra in Algeria e la mia primogenita, trisomica, si confronta regolarmente con il problema dell’integrazione e dell’accettazione. La scelta diBenguigui – la narrazione frontale – permette d’instaurare un’intimità con i personaggi. Ho utilizzato lo stesso procedimento, i personaggi si rivolgono direttamente al lettore creando un’identificazione possibile.

C’è un filo conduttore che attraversa tutto il fumetto: il disagio di trovarsi in equilibrio fra due culture e due paesi. È così?
Lo sradicamento è sempre un dolore e una ricchezza, queste persone per me sono degli eroi. L’attuale clima nauseabondo, esacerbato da certi partiti politici ,non favorisce il miglioramento dei legami che ci uniscono. Le condizioni che accompagnavano la venuta dei padri era concreta. Spesso erano analfabeti, reclutati nelle campagne, rispondevano a un bisogno di manodopera per rilanciare l’economia, in condizioni difficilmente immaginabili oggi. I figli, invece, avevano spesso idealizzato la Francia. Tanta emozione e tanta attesa venivano subito deluse.

Dopo gli attentati di Parigi, che valore ha questo libro? I temi dell’immigrazione e dell’integrazione restano sempre aperti…
Non credo si possa parlare di un fallimento dell’integrazione. La politica del capro espiatorio, l’ignoranza dell’altro che nutre paure irrazionali, fa nascere un nazionalismo basato su sciocchezze e idee negative che ci fanno fare pericolosi passi indietro.

Cosa pensa dei recenti fatti di Ventimiglia e della posizione della Francia?
Non mi sento di dare un giudizio. Credo tuttavia che l’Europa sia in grado di accogliere tutti i migranti. Il contesto attuale, in Francia e in Europa, banalizza le idee dell’estrema destra facendole sembrare meno estremiste e inasprendo il dibattito. La questione non è più sapere se accoglierli o no, ma piuttosto come farlo. L’uomo migra da sempre e questo fenomeno non può che amplificarsi. Pensare di risolvere il problema chiudendo le frontiere è un’illusione.

Perché la scelta di rappresentare i personaggi con volti di animali? È inevitabile pensare a «Maus» di Spiegelman.
Avevo già disegnato animali umanizzati nel precedente album che racconta la nascita di mia figlia, portatrice di trisomia 21. Utilizzare teste di animali indefinite, dal tratto molto semplice, mi è sembrato ideale per occuparmi dei Mohamed. Queste maschere neutre, anonime, obbligano a spostare il nostro punto di vista, è di nuovo la parola ad avere il sopravvento. Ovviamente conosco bene Maus: è un grande esempio per me, come Persepolis di Marjanne Satrapi.