Il rischio di non farcela esiste. Questo è bene tenerlo a mente. La candidatura di Ilaria Salis alle europee con Avs è un’operazione coraggiosa, la prospettiva di uscire di galera neanche certa. Il coraggio, ad ogni modo, non manca a questa donna antifascista che da oltre un anno si trova prigioniera in Ungheria, paese che considera l’antifascismo un crimine e lo stato di diritto un fastidio. Chi in tutti questi mesi di certo non ha avuto coraggio è il governo italiano, che ha ignorato la questione per lungo tempo e che poi, quando le immagini di Salis che entrava in ceppi in aula a Budapest hanno scandalizzato il mondo, ha impostato il suo discorso in due modi diversi: uno sbagliato e uno deprimente.

Quello sbagliato consiste nel ripetere che «non bisogna politicizzare la questione» perché «la diplomazia lavora nel silenzio». Quello deprimente è stato delegato ai parlamentari di seconda fila, ai più o meno ignoti amministratori locali e alla nutrita pattuglia di agitatori da social network. Tutti bravissimi ad attaccare il bersaglio immobile di una detenuta in catene e a diffondere fake news sulla sua reale situazione giudiziaria. Talvolta con un accento paternalista («Ma cosa è andata a fare a Budapest?»), talvolta con una bizzarra, per non dire preoccupante, apologia dei neonazisti che in Ungheria sono liberissimi di celebrare in pompa magna le imprese militari delle SS.

È in questo contesto che nasce la candidatura di Ilaria Salis: una risposta a un governo il cui sforzo diplomatico è stato risibile, con i ministri Tajani e Nordio che hanno offerto solo consigli sbagliati, che sono usciti umiliati dall’ultima udienza, che non sono mai stati capaci di prendere una posizione rispettabile a difesa di una concittadina vittima di un sistema giudiziario (e politico) estraneo alla tradizione democratica europea. Del resto Nordio e Tajani hanno un alibi bello grosso, al di là di tutto: Giorgia Meloni è fiera alleata di Viktor Orbán e non vuole seccature. Ilaria Salis per la premier è questo, infatti: una seccatura, un inciampo nel suo sogno di costruzione di un’Europa all’ungherese. Un progetto che in ogni caso dovrà fare i conti proprio con il voto di giugno. E con un’antifascista in più dall’altra parte.