Vidar Sundstøl con soli tre titoli: La terra dei sogni, I morti e I corvi è già diventato un autore di culto. L’autore norvegese ha vinto nel 2008 il prestigioso Riverton Prize per La terra dei sogni che apre la trilogia pubblicata ora con il medesimo titolo da Einaudi (pp. 848, euro 26, traduzione di Maria Teresa Cattaneo).

La particolarità della scrittura di Sundstøl va ricercata in una attenta costruzione dell’intensità che scaturisce da un confronto quasi sensoriale dei protagonisti con l’ambiente circostante. Un confronto audace e silenzioso, fatto di respiri e ombre, colori sfuocati e improvvisi movimenti. Sundstøl interpreta il genere thriller in chiave ambientale: un’angosciante dinamica che si dipana con sorprendente intreccio tra la Norvegia e un selvaggio e invernale Minnesota.

L’autore supera i canoni del genere non riducendo lo stesso a elemento strumentale, ma interpretando appieno il senso di una narrazione realistica e che fa della trazione emotiva e dei contrasti imprevisti, tra i personaggi e le loro abitudini, il senso di una scrittura attenta e aderente al contesto.
La Trilogia del Minnesota qui proposta audacemente da Einaudi in unico corposo volume è allora un viaggio nell’epica storica della contea di Cook tra nativi americani e un agente della forestale di origine scandinava che s’imbatte nel cadavere di un turista norvegese.

Costruzione classica per una struttura romanzesca che scava nella storia locale inizialmente con l’ironia snob per una passione a tratti un poco fanatica delle culture locali intese come colore e tradizione, di seguito invece addensando coincidenze inquietanti e similitudini impressionanti nei fatti che avvengono in contemporanea rispetto a quella che è la storia di un territorio che vive fortemente una relazione distopica tra attualità e passato.

Mischiando origini e identità, territori e culture Sundstøl compie l’impresa di un grande affresco narrativo capace di coinvolgere il lettore in una storia realmente globale, per certi versi tipicamente contemporanea; un racconto a tratti intimo ed epico senza mai che le due tensioni risultino opache o artefatte. I boschi selvaggi e la natura incolta restituiscono riferimenti che possono risalire fino all’alba di un territorio e della sua scoperta.

A rivelarsi è il sapore dell’America, quella dei pionieri e quella del presente spesso isolata e turbata all’interno dei propri universi confusi tra paure dell’oggi e mitologie di un passato sempre rassicurante. L’autore norvegese capovolge le ovvietà di un conformismo sociale come le abitudini dei propri stessi personaggi, genera un effetto sia di stracciamento sia di liberatorio riconoscimento verso i drammi e le inspiegabili coincidenze della vita. Un libro al contempo fatalista e fortemente deciso nel raccontare i fatti, a darne loro forma attraverso una contestualizzazione mai banale