Inaugura anche idealmente l’esposizione di cinema italiano alla Mostra di Venezia un materiale da maneggiare con cura: Giulio Andreotti – Il cinema visto da vicino di Tatti Sanguineti. Si incrociano dialogando a tu per tu l’esponente di una generazione che ha fatto del cinema il suo punto di osservazione, amore senza riserve per un mezzo carico di sottintesi, lavoro politico costante e capillare e un personaggio diventato «storico» fin dalla sua giovinezza, altrettanto appassionato e intransigente in ambito politico (e devoto) da farne il nemico per eccellenza, il diavolo in persona (definizione che non ha mai mancato di sorprenderlo, viste le sue frequentazioni). Nel dialogo trascinante costruito in tre anni di incontri e un considerevole numero di riprese, Tatti Sanguineti con Pier LuigiRaffaelli riuscirà a far esprimere al suo interlocutore, in maniera impercettibile data la sua mimica facciale minimalista, una autentica emotività resa proprio come fosse cinema sperimentale da lievissimi cambiamenti di espressione, sopracciglio lievemente sollevato, pupille appena dilatate, capo reclinato come a osservare meglio il monitor. Lo metterà alle strette con l’esibizione di documenti, gli mostrerà intere sequenze, vorrà che si esprima. Ne otterrà sibilanti battute, gustosi aforismi. E tutto un sottotesto da decifrare. Andreotti parla infatti non solo di ricordi di infanzia, dei primi film visti al cinema Olimpia, a una lira («Dr. Jeckill e mr. Hyde l’ho visto tre volte, mi sono spesso chiesto perché uno può essere un tipo e il tipo opposto, un angioletto o peggio di un demonio. Nella vita persone a doppia faccia ne ho conosciute parecchie»). Ma si parla soprattutto delle drammatiche vicende della censura che subì il cinema italiano e che portarono la firma di Andreotti dal dopoguerra in poi, nominato sottosegretario allo spettacolo già nel 1947 a 28 anni, su consiglio di monsignor Montini a De Gasperi. Si tratta di un intreccio drammatico, pur nel tranquillo conversare, accomodati nel salotto damascato del suo studio. Gli spettatori italiani sapranno forse cogliere tutti i retroscena, guidati dall’incalzare delle domande e delle prove che l’autore porge mantenendo il suo caratteristico tono giocoso e colto che ben si accorda all’ironia implacabile dell’interlocutore. Andreotti si adagia in un clima da combattenti e reduci come se si stesse parlando di fatti di tempi remoti, ma ecco balzare in primo piano, intatta, un’epoca feroce. Tatti Sanguineti è l’inventore di «Italia taglia» quasi un gioco di parole alla Totò, ma si trattava di far emergere una guerra di posizione che aveva a che fare con gli accordi che ci avevano fatto [V_INIZIO]accedere agli aiuti del piano Marshall – tra cui quell’assegno da 50 milioni di dollari che vediamo nella famosa sequenza De Gasperi ricevere da Truman e signorilmente senza neanche guardarlo passare al segretario (in tutto l’Italia ne ricevette ben più di mille milioni) – con la garanzia che il paese sarebbe diventato una barriera contro il comunismo. Tanto per cominciare fecero irruzione sugli schermi gli ottomila film americani bloccati fino ad allora, che gli esercenti si disputavano. Scrive Tatti Sanguineti nella sua preentazione: «Un’espressione di Andreotti è da riportare, una sintesi in linguaggio sportivo del rapporto fra i film esteri e i nostri nel primissimo dopoguerra: «Quattro a uno».. Trovate voi un’espressione più felicemente sintetica per descrivere lo stato del nostro cinema di allora! Quattro a uno. E gli esercenti questo «uno», che erano i film italiani, non lo volevano nemmeno. Si dovette imporglielo con la programmazione obbligatoria. Quando Andreotti molla, il cinema italiano faceva il 56% di incassi». Restò sottosegretario alla cultura fino al ’53 e se si vuole ricordare la sentenza di Sonego: ammazzò cinque film e ne fece fare cinquemila.
Uno dei bersagli della censura è sempre stato nel nostro cinema l’offesa al pudore, il reato di oscenità: e questo è andato avanti per parecchi anni, oggi sembra quasi uno scherzo, fanno ridere le restrizioni, i centimetri, le spalline su o giù, le foglie di fico (finché per creare un diversivo alle manifestazioni degli anni ’70 sono state spalancate le porte ed è comparsa commedia sexy, sesso e violenza a volontà). Ma la censura non è stata una novità andreottiana, apparteneva al tempo passato, era stabilito dalla costituente di cui, dice, facevano parte anche comunisti e socialisti («era un clima molto rigoroso»), il concetto di oscenità espresso dall’articolo 21 era indirizzato contro atti a turbare la sensibilità degli adolescenti. Dalle gambe necessariamente nude di Maria Goretti in riva al mare (che scomparvero nel fotoromanzo dedicato al film Il cielo sulla palude) molta strada è stata fatta per arrivare all’appartamento di Ultimo tango. Qui, in una scena costruita come uno degli apici del racconto, mentre in voce fuori campo si sente Bernardo Bertolucci commentare le sue indicazioni di regia, l’espressione del senatore che guarda il video attraversa il secolo e gli fa dire: «scene simili le ho viste solo nei centri di riproduzione equina» forse per la posizione (più o meno) eretta dei protagonisti. Ma non si trattava solo di caviglie scoperte, la censura colpiva forte soprattuto quando non si voleva mostrare all’estero il paese in difficoltà economica – i famosi panni sporchi – e mettere un punto fermo al passato. Umberto D non sarebbe stato cenusrato se i pensionati invece che manifestare per l’aumento delle pensioni, avessero manifestato per l’aumento della tassa sui cani. Vietato per la distibusione all’estero Anni facili di Zampa perché diffamatorio per il nostro paese (Andreotti commenta: devo dire che è una fesseria) per una gustosa scenetta sulle bustarelle.
«Andreotti si accanì a vietare fim dell’epoca di Mussolini» tra tutti fu proibita la proiezione nelle pubbliche sale di Alba tragica a Dongo, 1949, di Vittorio Crucillà («sparì») e la giustificazione che ne dà il senatore è che si volevano evitare polemiche e impedire che si accendessero liti. Andreotti proibì film di dinistra e anche della destra cattolica come Guerra alla guerra voluto da Luigi Gedda fondatore della produzione Orbis e presidente dell’azione cattolica, in seguito fondatore dei comitati civici (qui il commento di Andreotti su di lui è sottilmente sferzante). Ma via anche tutti i comunisti dalle scene: celebre in cao di Totò e Carolina, quando la jeep della polizia sta per precipitare, arriva una camionetta carica di militanti comunisti che cantano Bandiera rossa e naturalmente il canto è cancellato e invece di «ehi compagni!» a Totò si fa esclamare perché accorrano in aiuto: «ehi giovanotti!», si taglia il sindaco del Pci nella Spiaggia di Lattuada (’54), si censura il film di Lizzani sui fatti di Modena («questi fatti si inquadrano in un momento di grande tensione, ci sono delle responsabilità, non si possono far travolgere i luoghi pubblici»). Così, come poi farà anche la televisione, tutto appare edulcorato, sparisce la celere, spariscono gli slogan dalle settimane Incom, perfino la grande manifestazione del mondo del cinema viene raccontata come affluenza dovuta alla curiosità di vedere gli attori. Tatti Sanguineti procede con estrema bravura nella sua veste di nemesi di storico tra notazioni lievi e divertenti, documenti inconfutabili recanti firme e commenti autografi e problematiche pesanti come macigni che vengono quasi sempre respinte come appartenenti a un’epoca in cui era inevitabile agire come fu fatto per impedire problemi di ordine pubblico.Quale è il film che ha scoraggiato? chiede Tatti. «Le diable au corps, risponde, tra l’altro un film molto bello. Avemmo intimidazioni da parte delle associazioni combattentistiche, si minacciava di incendiare i cinema» Ingerenze del Vaticano? «è una cosa vaga, va dal Papa al sampietrino» è la magistrale risposta.