Chi in questi giorni di tensione fra maggioranza e opposizione con epicentro al senato, ha parlato con il presidente Pietro Grasso, ne ha raccolto considerazioni tutto sommato serene. Chi ha fatto il magistrato in Sicilia, è la sostanza del ragionamento, e ha avuto a che vedere tutta la vita con mafie e organizzazioni criminali, non può che relativizzare le «indubbie» pressioni politiche, anche quelle delle ore in cui la camera che presiede sembra trasformata in un mezzo vietnam. Sempre smisurati, i numeri con cui ha avuto a che vedere: dal maxiprocesso ai 7mila emendamenti di questi giorni.

Ieri Grasso, alla cerimonia del Ventaglio, sottoposto alle cortesi ma dirette domande della presidente della stampa parlamentare Alessandra Sardoni (volto di La7) ha rivendicato il suo operato. Lo spettacolo dello scontro fra maggioranza e opposizione lo ha «addolorato», ma «come presidente ho ben chiaro il mio ruolo di garante sia della maggioranza che delle opposizioni, e continuerò ad operare in tale senso. So bene, per esperienza, che il ruolo del giudice imparziale è tra i più esposti a critiche ma questo non ha mai intaccato la mia terzietà prima e non lo farà neanche ora». La concessione di alcuni voti segreti per il voto sulle riforme costituzionali ha fatto saltare i nervi al Pd, il suo partito. Di decisione «superficiale» ha parlato il capogruppo del Pd Zanda. Si è riaperta una vecchia diffidenza. All’annuncio della riforma del senato da parte del premier, Grasso aveva espresso il suo giudizio negativo. «Io – ricorda – ho espresso la mia opinione costruttiva durante i giorni in cui il progetto iniziale è stato aperto a qualsiasi contributo e prima che questo venisse depositato in Senato». Da lì in poi nessun giudizio di merito.

Ma in questi giorni c’è anche di più della polemica con il suo partito: il messaggio del presidente Napolitano («la paralisi porta grave danno a parlamento»), diramato subito dopo il loro incontro al Colle sembrava un rimprovero diretto proprio a lui. Grasso dribbla, e dice che al Colle va sempre volentieri. «Il presidente è lucidissimo, e oltre a questo è una fonte di racconti e di ricordi. Anche sull’ostruzionismo», aggiunge con una punta di malizia, «perché anche in altri tempi e da parte di altri settori è stato praticato. Ha sempre molto da raccontare, e io lo ascolto perché per me è sempre piacevole attingere alla sua esperienza». C’era un tempo in cui l’ostruzionismo dell’opposizione non era «paralisi», né «palude», né altro.

Ma sul merito delle sue scelte Grasso rivendica tutto: «Sui criteri che mi hanno ispirato nella scelta di concedere il voto segreto su ben specifici emendamenti, la risposta è molto semplice: il regolamento non lascia alcun margine di interpretazione, prevedendo che, su richiesta di venti senatori, sono effettuate a scrutinio segreto le deliberazioni relative alle norme sulle minoranze linguistiche».

Ma, spiega poi più in scioltezza al rinfresco che segue la cerimonia – rinfresco moderatissimo visto che metà del suo discorso è stato impiegato a illustrare i tagli del senato per 75 milioni  in due anni – gli emendamenti che in cui la Lega e Sel hanno inserito le norme sulle minoranza linguistiche saranno «spacchettati» e quindi sminati. Quasi tutti. «È prevista la possibilità di adottare la regola del cosiddetto ’canguro’ che, in parole semplici, permetterà di votare le parti comuni degli emendamenti una sola volta, riducendo drasticamente il numero delle deliberazioni con voto segreto». Solo un emendamento è scritto in maniera tale da non poter essere spacchettato, l’1.19. È l’unico voto segreto su cui il governo rischia la scivolata. La seconda carica dello stato però non nega di ricevere pressioni da una parte e dall’altra, «che mi hanno ormai sformato le giacche».

Certo, Grasso si schiera contro le opposte sordità di questi giorni. «La rappresentazione plastica del muro contro muro, dell’indisponibilità a sentire le ragioni dell’altra parte, le accuse, le iperboli e le provocazioni devono lasciare il posto al confronto e alla ricerca di soluzioni condivise. In una parola: al ritorno alla politica». Era questo che aveva detto anche giovedì in aula al senatore Corsini, dissidente Pd, quando, pacatamente, aveva chiesto «la riaperturta della via maestra del confronto». «Siccome ci dovremmo occupare dei decreti, c’è tempo perché la politica faccia il suo corso», gli aveva riusposto Grasso. «È ancora il mio auspicio», ha spiegato ieri. Il presidente non sta dalla parte delle forzature.