Abbiamo raggiunto al telefono a Los Angeles, James Gelvin, docente di storia del Medio oriente all’Università della California (Ucla). Gelvin è autore di numerosi saggi sui movimenti politici alternativi in Siria, citiamo Divided loyalties: nationalism and mass politics in Syria. Lo storico statunitense si è occupato anche dei recenti movimenti sociali in Medio oriente ed è autore del saggio The Arab uprisings.

Professor Gelvin, dal Sinai all’Iraq, dalla Siria alla Libia, i jihadisti stanno perpetrando una lotta globale comune?

Solo pochi movimenti hanno dichiarato la loro alleanza al califfato dello Stato islamico (Isis) in Iraq. La maggioranza dei gruppi jihadisti attivi nel mondo non lo ha fatto o ha proclamato la sua neutralità. Ogni gruppo è geloso della sua autonomia e persegue obiettivi specifici.

Che cos’è lo Stato islamico (Isis)?

Lo Stato islamico è l’ultimo gradino dell’evoluzione dei gruppi radicali al-qaeda e Tahid w al-Jihad. A questi gruppi, negli anni, si sono unite molte altre sigle jihadiste. L’Isis ha acquisito la sua specificità nello scontro ideologico tra il movimento jihadista internazionale (al-qaeda e il suo numero due Ayman al-Zawahiri) e la costola qaedista in Iraq. Quest’ultima fomentava lo scontro settario nel paese mentre per al-qaeda l’unico obiettivo era opporsi agli Stati uniti e non colpire altri musulmani.

Qual è la principale differenza tra Isis e al-qaeda?

L’Isis propaga lo scontro tra musulmani e per questo  al-qaeda considera il gruppo come composto da takfiri, impuro o radicale.. Il califfato proclamato nel Nord dell’Iraq e della Siria da Abu Bakr al-Baghdadi ha sue specificità ma radici comuni con il terrorismo internazionale. Lo stesso leader del movimento radicale si è formato attraverso al-qaeda in Iraq (è stato allievo di Abu Musab al-Zarqawi). Ha iniziato conducendo operazioni in Siria contro l’Esercito libero siriano (Els), al-Nusra e i gruppi kurdi, conquistando la città settentrionale di Raqqa e sottraendola proprio ad al-Nusra. Sulla strada verso Baghdad si sono unite a loro decine di migliaia di combattenti sunniti.

Perché l’Isis si autodefinisce «stato»?

Si proclamano dawla (stato), ma non sono uno stato. Devono affidarsi ai burocrati che si sono uniti a loro (rimanenti del regime di Saddam Hussein) perché non hanno le capacità tecniche di controllo del territorio. Sono militarmente molto preparati (anche se la loro forza in battaglia è stata esagerata dai media). Quando si tratta di governare le aree che hanno conquistato, ricevono istruzioni direttamente dagli uomini di Hussein. Se in difficoltà, formano nuove alleanze con affiliati a vari gruppi sunniti che forse hanno trascorso anni in prigione insieme a loro. E così sono ora migliaia i componenti dello Stato islamico (Isis). Eppure sono ancora pochi se si considera che controllano una regione grande quanto il Belgio. Fin qui l’obiettivo dei jihadisti è stato di costruire emirati temporanei e non di prendere il controllo dell’intero territorio conquistato.

Quindi l’Isis sa combattere ma non sa mantenere il controllo del territorio?

Molto spesso all’Isis si sono uniti anche uomini appartenenti alle tribù locali, molti sufi, ufficiali di Hussein che hanno sempre sostenuto uno stato secolare. Erano tutti uniti contro gli sciiti dell’ex premier iracheno Nuri al-Maliki. Una volta che al-Maliki si è dimesso, il principale obiettivo di questo cartello, guidato dall’Isis, è stato raggiunto. Ora sono nel bel mezzo di un conflitto interno. E chiaramente non sono in grado di essere uno «stato» come si proclamano. Quando l’Isis conquista un territorio prende delle misure estremamente impopolari (imposizione di codici per l’abbigliamento femminile e proibizionismo). E così non è molto complicato per al-Nusra e al-qaeda riprendere il controllo di quei territori.

L’Isis ha ricevuto aiuto esterno?

All’inizio il gruppo è stato finanziato sia dai sauditi sia dal Qatar, usano armi degli Stati uniti. Nelle loro fila ci sono anche ex detenuti, usciti dalle carceri siriane.

D’altra parte, i kurdi come hanno costruito la loro resistenza all’avanzata dei jihadisti?

I kurdi hanno stabilito la loro patria nel Nord della Siria. È solido l’accordo tra i kurdi iracheni di Massud Barzani e i kurdi siriani del Parito democratico unito (Pyd), con il sostegno del Partito dei lavoratori kurdi (Pkk). Questo permette loro di non considerare i confini tra i paesi come scolpiti nella pietra. I peshmerga si formano con il Pkk, che ha stabilito la sua organizzazione affiliata in Siria. Il governo di Baghdad non controlla il Nord dell’Iraq. La scorsa primavera, quando ci sono state manifestazioni contro la disoccupazione nelle regioni sunnite a nord-ovest di Baghdad, il governo ha mandato l’esercito per fermarle. In quel momento si sono formati comitati popolari di auto-difesa per proteggere i contestatori e sono ancora attivi.

Quale conseguenza avrà la decisione di Usa e Ue di inviare armi ai peshmerga?

I kurdi potrebbero usarle contro il governo. Nel tempo questo potrebbe determinare la disintegrazione dell’Iraq. Ovviamente già la costituzione irachena prevede governi regionali, ma il sostegno alla lotta armata kurda potrebbe determinare uno scontro interno sulla distribuzione dei profitti del petrolio. Poiché gli Usa preferiscono stati falliti non è poi detto che l’Iraq si disintegri. È possibile che Siria e Iraq continuino a esistere solo sulla carta e a Damasco e Baghdad restino governi centrali a controllo limitato.

Che ruolo ha in questo momento l’Iran nel conflitto in corso in Iraq?

Gli ayatollah Ali Khamenei e Ali al-Sistani hanno abbandonato al loro destino politici e militari iracheni al potere con l’ex premier al-Maliki. Sono sempre loro (Khamenei e Sistani, ndr) dietro al nuovo governo di Haider al-Abadi. Muqtada al-Sadr è invece una mina vagante in questo scontro politico, per questo al-Maliki osteggiava al-Sadr. Invece, armare i kurdi per gli iraniani è come giocare con il fuoco: gli iraniani seguono lo schema turco di accordo militare e finanziario con i kurdi iracheni con la promessa che non si ritorcano contro di loro. Chissà se i kurdi la manterranno.