Il presidente della Repubblica la firmerà velocemente, magari accompagnando la firma con un messaggio sul necessario collegamento dell’Italicum alla riforma costituzionale. Nessun dubbio dunque che «il paese ha una nuova legge elettorale», come ha esultato il profilo ufficiale dei senatori Pd un attimo dopo il voto di Montecitorio, tralasciando il dettaglio della promulgazione. Epperò abbiamo una legge che non si può usare: è il comma 35 dell’articolo 2 a stabilire che l’Italicum si applica dal 1 luglio 2016. E nel frattempo?
Com’è stato giustamente sostenuto, parte della riforma costituzionale implicita dell’Italicum sta nel fatto che il futuro presidente del Consiglio – eletto direttamente – è destinato a sottrarre buona parte del potere di scioglimento della camere al capo dello stato. Ma questa sottrazione opera già adesso, posto che Mattarella in caso di prossima crisi di governo si troverebbe davanti un sistema elettorale sospeso (fino alla seconda metà dell’anno prossimo) e zoppo, perché valido solo per una camera.

Se si dovesse votare da qui al luglio 2016, infatti, lo si dovrebbe fare tanto alla camera quanto al senato con il sistema residuato dalla sentenza della Corte costituzionale che nel gennaio 2014 ha abbattuto il Porcellum, il cosiddetto Consultellum. Si tratta di un proporzionale con soglie di sbarramento (alte: 10% alla camera e 20% al senato per le coalizione, 4% alla camera e 8% al senato per i partiti fuori dalle coalizioni) e una sola preferenza. Al netto delle soglie è il sistema con cui si è andati a votare una sola volta, nel 1992, l’anno della serie tv su Tangentopoli: Dc 30%, Pds 16%, Psi 14%. In alternativa il governo potrebbe, con un decreto, cancellare la clausola sospensiva e rendere l’Italicum applicabile da subito per l’elezione della camera. Una legge del 1988 vieta i decreti in materia elettorale ma in questo caso potrebbe essere presentato come un intervento «tecnico»; d’altra parte anche per votare con il Consultellum è necessario un intervento applicativo, necessariamente per decreto. Il voto per le due camere politiche con due leggi tanto diverse produrrebbe un vincitore certo alla camera, questo partito sarebbe però costretto a cercare un’alleato al senato tra i suoi immediati avversari alle elezioni.

È lo stesso scenario al quale si andrebbe incontro nel caso di elezioni dopo il 1 luglio 2016, anche se nel frattempo dovesse prendere corpo l’annunciata iniziativa referendaria. Sempre che gli avversari dell’Italicum riescano a mettere insieme un quesito in grado di passare al vaglio dei giudici costituzionali, senza prospettare un’abrogazione totale perché in materia non sono consentiti vuoti legislativi. La legge del 1970 sul referendum prevede infatti che in caso di elezioni politiche la consultazione sia sospesa per un anno. La legge dunque potrebbe prima essere applicata e poi (nel caso dovessero vincere i sì) cancellata. E se non con il referendum, con una nuova sentenza della Consulta. Sarebbe questo il caso più grave, in tutto simile a quanto accaduto con il Porcellum. La strada per portare le eleggi elettorali davanti ai giudici delle leggi è infatti stata aperta nel 2013 ed è solo una questione di tempo: prima o poi anche l’Italicum sarà sottoposto al vaglio di costituzionalità. Ma il fatto che fino a luglio 2016 non si determinerà in concreto una (eventuale) lesione dei diritti del cittadini, che è il presupposto per far partire l’azione giudiziaria, allontana questo esito.
Un ipotetico giudizio di costituzionalità non potrà prescindere dalla conclusione o meno del percorso di riforma costituzionale. Fino a che il senato sarà elettivo, il sistema progettato dal governo Renzi zoppica; le riforme – ferme al senato – a questo punto sono in ritardo. Anche considerando le tardive aperture del presidente del Consiglio a modifiche, il secondo voto conforme sul testo della legge di revisione appare lontano. Poi bisognerà attendere la pausa di riflessione di tre mesi, le deliberazioni finali di camera e senato e il referendum confermativo.

E se alla fine si andrà a votare davvero nel 2018 a conclusione del ciclo, solo per la camera e con il senato non più elettivo? Allora Renzi, vincendo, potrebbe contare su una doppia maggioranza assoluta: 340 deputati su 630, tra i 55 e i 60 senatori su 100.