Tra pochi giorni sarà votata la fiducia alla Camera sulla legge delega del Governo sul lavoro. Eppure – dal nostro punto di vista – la partita è appena iniziata, nel Paese prima ancora che nelle aule del Parlamento.

Partita che dobbiamo attrezzarci a giocare sul piano tecnico – e ovviamente sostanziale e fondamentale – della riduzione delle tipologie contrattuali, degli ammortizzatori sociali, dell’ulteriore restringimento di garanzie e tutele: dovremo essere in grado, decreto attuativo dopo decreto, di smantellare il progetto di progressiva liberalizzazione del mercato del lavoro del Presidente del Consiglio. Al tempo stesso, la partita più importante dobbiamo giocarla sul piano del dibattito mediatico e politico. Il grande bluff di Renzi, che usa i precari come arma retorica ma non produce alcun avanzamento, né in termini di riduzione delle forme contrattuali né di reddito minimo garantito, va smascherato. A partire da questa contraddizione possiamo e dobbiamo impegnarci per costruire consenso intorno alla proposta alternativa di un modello di sviluppo fondato su principi di eguaglianza e redistribuzione, sostenibilità ambientale e innovazione, cooperazione e solidarietà.

La crisi economica sta logorando il nostro Paese: la paura è il sentimento probabilmente più diffuso, le periferie delle grandi città vivono un clima di tensioni tra gruppi sociali pronto ad esplodere da un momento all’altro, povertà e indigenza coinvolgono fasce sempre più ampie di popolazione, la condizione di non lavoro o di lavoro intermittente diventa la condizione normale per milioni di donne e uomini, più o meno giovani. Di fronte a tutto questo il governo ci propone come unica via d’uscita dalla crisi una ricetta a base di sfruttamento, ricatto e competizione, dietro la maschera tutta retorica dell’innovazione. Di uscita dalla precarietà, di riforma del welfare, di creazione di nuova occupazione, non c’è traccia.

La battaglia che ci troviamo di fronte è, quindi, tutta culturale e profondamente politica, nella misura in cui è la politica che, partendo dai bisogni materiali delle donne e degli uomini, costruisce progetti di cambiamento generale della società.

Un autunno già denso di mobilitazioni è sicuramente la premessa necessaria per realizzare tutto questo: sabato 25 ottobre è importante essere in piazza con la Cgil, per i diritti, il lavoro, la libertà; e il 14 novembre dovremo costruire una grande giornata di sciopero sociale, a partire dal percorso dello Strike meeting. Ma non è più sufficiente: per questo domenica 26 ottobre invitiamo tutti i soggetti politici e sociali che condividono la nostra urgenza all’assemblea “La nostra vita non è un gioco”. Vogliamo chiedere alla politica di imparare a guardare oltre i propri recinti per riconoscere, intercettare e coinvolgere i tanti percorsi di partecipazione, mobilitazione e resistenza che vivono nei nostri territori. Ma chiediamo anche al sociale di fare un passo in avanti, di mettere a sistema le singole lotte per definire, a partire dalla battaglia contro il Jobs Act, un progetto ambizioso e complessivo di cambiamento della società.

*Campagna ACT – agire, costruire, trasformare
www.act-agire.it

Qui e ora, perché la nostra vita non è un gioco e non siamo disposti ad accontentarci di un futuro di macerie sociali.