Come da copione, il giorno dopo lo scoppio di rabbia del presidente della Commissione europea Juncker tutti si sforzano di abbassare la polemica. Ma la tensione corre sottopelle e finisce per esplodere di nuovo nonostante gli sforzi diplomatici. Renzi, con il fiato di un referendum a massimo rischio sul collo, rilancia: «Il tempo in cui l’Italia prendeva ordini e diktat è finito e non tornerà. Non siamo il bancomat dei Paesi dell’Est che reclamano solidarietà solo quando c’è da prendere e mai quando c’è da dare». Juncker replica a tono: «Io non presiedo una banda di tecnocrati e burocrati ma una Commissione composta da politici e quando si fa politica bisogna osservare la realtà».

Nell’esasperazione di Juncker è evidente l’irritazione per essere preso di mira da Renzi come paladino del rigore proprio mentre i falchi di Berlino lo assediano, con l’obiettivo di far commissariare la Commissione dal Fondo salva-Stati, per la flessibilità concessa all’Italia. Ma lo scontro rivela quanto la marcia della legge di bilancio italiana sia molto più difficile e accidentata del previsto.

A Bruxelles si usano tutt’altri toni, nella sostanza le posizioni restano però immutate. Il ministro Padoan dopo aver incontrato il commissario all’Economia Moscovici assicura che il colloquio «è stato costruttivo» e che «la trattativa continua». Oggi arriveranno le previsioni di crescita della Commissione stessa: Padoan è convinto che «potranno esserci lievi differenze ma non scostamenti significativi» rispetto ai conti del governo italiano. In realtà il passaggio di oggi non è considerato uno scoglio già da un bel po’, data la scelta di rinviare le decisioni a dopo il referendum.

Per il resto Padoan conferma punto per punto la linea italiana. Juncker «ha citato cifre che non tornavano e che poi lui stesso ha corretto». La plausibilità della previsione del Pil all’1% per l’anno prossimo «non è stata negata da nessuno nelle audizioni della commissione Bilancio». Il debito «inizierà a scendere l’anno prossimo». Per i migranti l’Italia ha provato, documenti alla mano, che spende «molto di più e da molto prima» del resto d’Europa. E comunque a Bruxelles «non c’è nessun clima di fastidio nei confronti dell’Italia». Il vicepresidente della Commissione Dombrovskis getta a sua volta acqua sul fuoco: «Il 16 novembre presenteremo la nostra opinione, ma in precedenti occasioni i costi dei terremoti sono stati considerati una tantum eccezionali».

Il parere ufficiale della Commissione, quello a cui allude Dombrovskis, per quanto importante non sarà tuttavia l’ultima parola. Quella arriverà solo dopo il referendum, che si inserisce in una complessa partita europea che non ha per posta in gioco solo il caso italiano.

I falchi di Berlino (e non solo), la Commissione alla ricerca di un punto di mediazione e l’Italia con la sua richiesta di superamento sostanziale del rigore rappresentano tre posizioni distinte e confliggenti. L’esito del confronto a tre sarà certamente influenzato dalla forza che Matteo Renzi dimostrerà di avere, o di non avere più, nel suo Paese. In ogni caso, solo dopo aver sciolto l’incognita rappresentata da quel voto la Ue prenderà una decisione che, pur se mascherata da faccenda tecnica, sarà tutta politica.

A Roma, intanto, il governo si prepara a mettere la fiducia sul decreto fiscale collegato alla legge di bilancio. Le commissioni Bilancio e Finanze della Camera procederanno a oltranza con l’obiettivo di porre la questione di fiducia giovedì, votarla venerdì e poi trasmettere se possibile già in questa settimana il testo al Senato.