Dopo una settimana passata ad accumulare divieti volti a impedire lo svolgimento del proprio meeting elettorale a Lille, durante il quale Rima Hassan – la candidata franco-palestinese di 32 anni della France Insoumise – avrebbe dovuto discutere di Palestina con Jean-Luc Mélenchon, è arrivata addirittura l’accusa di «apologia del terrorismo».

In una lettera recapitata a Hassan venerdì, la polizia francese l’ha informata che sarà interrogata il 30 aprile prossimo in «audizione libera» per indagare «dei fatti di apologia pubblica di un atto di terrorismo, commesso tramite una pubblicazione telematica». Secondo quanto riportato da Le Monde, i «fatti» in questione sarebbero stati commessi tra il 5 novembre e l’1 dicembre 2023, prima che venisse formalizzata la sua candidatura in posizione eleggibile nelle liste della France Insoumise.

IN UN COMUNICATO pubblicato dalla stampa francese, la candidata di Lfi si è detta «serena e pronta a cooperare pienamente con gli agenti», denunciando «le pressioni politiche che intendono compromettere la libertà di espressione» in particolare «nel quadro delle elezioni europee».

Nata nel campo palestinese di Neirab, nei pressi di Aleppo in Siria, Rima Hassan è arrivata in Francia all’età di nove anni. Giurista di formazione, ha lavorato alla Corte nazionale francese del diritto all’asilo e all’Ofpra (le due principali istituzioni responsabili dell’assegnamento dello status di rifugiato nel paese), oltre ad aver fondato l’ong Osservatorio dei campi di rifugiati.

Ancor prima dell’attacco del 7 ottobre e dell’inizio del massacro di Gaza, l’attivista e giurista franco-palestinese era emersa agli onori delle cronache criticando la linea politica francese e occidentale, attaccata al mantra dei «due popoli, due stati», ormai uno slogan vuoto di senso, secondo Hassan. «Bisogna riconoscere il regime di apartheid, riconoscere che è un crimine, e solo allora potremo pensare a un avvenire dove potremo convivere in uno stato binazionale», aveva detto in una trasmissione tv tre settimane prima dell’inizio della guerra. «Quello che vogliamo – aveva aggiunto – è poter circolare liberamente come gli israeliani. In nome di che cosa io non posso ritornare nel villaggio dove sono cresciuti i miei nonni e bisnonni, dove hanno piantato gli ulivi e costruito le loro case?».

Dopo l’attacco di Hamas e l’inizio della guerra, Hassan aveva scritto su X che era «moralmente inaccettabile il fatto di gioire della morte di civili», condannando ogni forma di antisemitismo, senza per questo smettere di denunciare il «genocidio» in corso a Gaza, come essa stessa l’aveva qualificato in un’intervista a Mediapart il 29 ottobre. I bombardamenti sulla Striscia «fanno parte di una logica colonialista che appartiene a Israele sin dalla sua creazione», aveva detto al portale d’inchiesta francese, sottolineando come «da lungo tempo si osserva presso i responsabili politici israeliani una costante volontà di disumanizzare i palestinesi».

La convocazione di Hassan da parte della polizia «intrattiene una confusione inaccettabile tra il fatto di chiedere una protezione per i palestinesi di fronte al rischio di genocidio – constatato persino dalla Corte internazionale di Giustizia – e l’apologia di terrorismo», ha denunciato in un comunicato l’avvocato Vincent Brengarth, che difende la candidata di Lfi. Dal canto loro, gli Insoumis hanno definito «allucinante» il motivo della convocazione, frutto di una «decisione inaccettabile» volta a «intimidire e criminalizzare ogni voce che si leva di fronte al massacro in corso a Gaza», si legge in un comunicato diffuso dal partito di sinistra.

LA MOBILITAZIONE del reato di «apologia del terrorismo» nei confronti di Rima Hassan è solo l’ultimo episodio in una serie di inchieste avviate nei confronti di attivisti, responsabili sindacali e figure di spicco dei movimenti in solidarietà alla Palestina. Anasse Kazib, ferroviere e militante trotzkista, e l’attivista Sihame Assbague sono entrambi stati convocati nelle scorse settimane per le medesime ragioni.

Giovedì scorso, Jean-Paul Delescaut, segretario regionale della Cgt nella regione Nord (una delle più importanti a livello nazionale), è stato condannato dal tribunale di Lille a un anno di prigione con la condizionale per «apologia di terrorismo», a causa di un volantino diffuso dalla federazione il 10 ottobre. La Cgt farà appello alla sentenza, definita dalla segretaria generale Sophie Binet un «gravissimo» atto di «repressione delle libertà».