Cecilia Jaramillo, femminista, è dirigente della Confemec (Confederación de Mujeres ecuatorianas) in Ecuador. Le abbiamo chiesto:
Qual è la situazione in materia di aborto in Ecuador?
L’aborto terapeutico in Ecuador è permesso dal 1936 nel caso di donne con disabilità mentale o fisica rimaste incinte in seguito a violenza, e anche nel caso di donne alle quali la gravidanza arrechi complicazioni sanitarie tali da mettere a repentaglio la loro vita. Le donne ecuadoriane hanno ottenuto il riconoscimento costituzionale del nostro diritto a decidere il numero di figli che vogliamo avere, e in generale di alcuni diritti in materia sessuale e riproduttiva. Tuttavia, in passato è stata negata la legalizzazione dell’aborto a ragazze e donne che abbiano concepito in seguito a una violenza sessuale. Il presidente Rafael Correa si è speso in prima persona contro questo diritto, avanzando argomenti di carattere religioso. La sua posizione è inaudita, perché l’Ecuador è uno Stato laico da oltre un secolo, per l’esattezza dal 1898, in seguito a un processo rivoluzionario per quell’epoca, che si concluse con la separazione dello Stato dalla chiesa cattolica e da altre chiese di minor peso in seno alla popolazione. C’è stato un atto politico di rappresaglia da parte di Correa contro alcuni parlamentari del suo partito, donne e uomini, che hanno osato pronunciarsi contro la risoluzione del presidente, schierandosi a favore dell’aborto. Egli li ha chiamati pubblicamente traditori e traditrici e in una conferenza stampa nazionale li ha minacciati di destituirli dalle loro funzioni. Insomma, si criminalizza l’aborto e questo è un passo indietro molto grave nell’applicazione dei diritti delle donne.
Che cosa pensano i vari collettivi di donne? Come si articola il dibattito?
Sulla questione dell’aborto siamo arrivate ad articolare azioni unitarie e ad attuare molteplici forme di resistenza e lotta. In particolare i gruppi femministi delle donne più giovani sono stati protagonisti di forme di protesta non usuali nel paese. I media di ogni tipo hanno dato una grande copertura al dibattito su questo tema. Donne e uomini stanno discutendo di aborto. Ma dobbiamo riconoscere che il dibattito non arriva a coinvolgere tutte le donne della base. Noi come Confemec stiamo lavorando a questo problema, perché pensiamo che senza una pressione di massa da parte delle donne, non otterremo nulla; sono in particolare le donne del popolo a essere influenzate dall’azione delle chiese e di Correa.
Che cosa dice il testo della legge?
La proposta prevedeva la legalizzazione dell’aborto nel caso di donne, adolescenti e giovani rimaste incinte dopo uno stupro. Ma come ho detto, questo testo è stato del tutto negato e per ora non c’è una possibilità immediata di cambiare questa approvazione, perché il Codigo è una legge speciale, per modificare la quale occorre la maggioranza assoluta. Con la composizione attuale dell’Assemblea, schierata in maggioranza con il governo, non è possibile modificare questa legge.
Possiamo dire che la libertà delle donne si trova intrappolata fra la Chiesa e la Pachamama? E perché?
Il tema dei diritti delle donne e della libertà di decidere del proprio corpo e della propria sessualità non è in diretta relazione con la Pachamama, ma lo è con i «valori morali religiosi» che in questo processo non sono stati diffusi dalla Chiesa ma dal presidente Correa. Egli ha condotto un’intensa campagna contro l’aborto, così che la Chiesa non ha avuto bisogno di esporsi pubblicamente: poteva contare su un ottimo difensore delle proprie idee e proposte retrograde, nella persona di Correa. Questo fatto inaudito è stato criticato da molti settori, tanto più che questa campagna si è conclusa con minacce a deputate e deputati per impedire il loro voto a favore dell’aborto.
Ci sono statistiche?
Certamente, e i dati più affidabili vengono da studi realizzati dallo Stato. Ma così come altrove, poiché l’aborto è qualificato come delitto, e questo fa sì che i dati non siano molto obiettivi perché una grande percentuale di aborti avviene in modo clandestino e e in condizioni che mettono a rischio la vita delle donne. Nel solo anno 2012, oltre settemila minori – quasi bambine- sono state vittime di stupro. Questo dato non comprende la tratta di bambine e adolescenti per il commercio sessuale che è cresciuta vergognosamente. Ad aggravare il dato, la maggioranza di giovani donne violentate è costituita da povere, indigene o afrodiscendenti. Quanto all’aborto, si stima che in un paese piccolo come il nostro si verifichino ogni giorno ben 4 casi di complicazioni sanitarie per aborti mal praticati, e non si sa quanti siano quelli clandestini. Uno studio riferito a un consultorio medico in una zona centrale della capitale nella quale arrivano soprattutto giovani, ha constatato, nell’arco di una settimana, che sono state curate in media venti donne al giorno. E ci sono dati secondo i quali l’aborto mal praticato è la principale causa di morbilità per le donne ecuadoriane.
C’è una rete di donne con posizioni abbastanza unitarie nei paesi dell’Alba e progressisti?
No! Credo che sia necessario sottolineare che i governi progressisti non sono come sembrano.