L’Accademia reale svedese delle scienze ha assegnato il premio Nobel 2015 per l’Economia allo scozzese Angus Deaton, docente negli Stati Uniti presso l’Università di Princeton, per i suoi studi dedicati all’analisi dei consumi, della povertà e del benessere.
Nato a Edinburgo nel 1945, Deaton ha dedicato buona parte della sua attività di ricerca all’arduo compito di sciogliere uno dei nodi chiave dell’individualismo metodologico, sul quale la teoria neoclassica dominante tuttora si basa: indagare sull’andamento di grandi variabili come la composizione della domanda di beni o l’andamento nel tempo del consumo nazionale, partendo sempre da un’analisi del comportamento dei singoli individui.
Per questo scopo, assieme a Muellbauer, Deaton elaborò nel 1980 il cosiddetto «sistema di domanda quasi ideale». Questo criterio costituisce tuttora un punto di riferimento per la ricerca economica sulle decisioni di consumo.

Tuttavia, i processi di aggregazione che esso suggerisce poggiano sulle ipotesi di razionalità individuale tipiche della teoria prevalente. Si suppone, ad esempio, che i consumatori non siano affetti da illusione monetaria, per cui un aumento di tutti i prezzi, accompagnato da un pari aumento del reddito destinato ai consumi, non dovrebbe modificare il loro comportamento. Deaton ha giustamente insistito sull’opportunità di concepire sistemi di analisi della domanda che consentano di verificare se l’assunzione di razionalità dei singoli individui trovi conferma nei dati. Il problema è che le verifiche empiriche effettuate da lui e da molti altri, al riguardo, tendono a smentire tale ipotesi. Un risultato che non crea alcuna difficoltà ai filoni di ricerca alternativi che rifiutano a monte l’individualismo metodologico, ma che determina invece notevoli complicazioni per la teoria neoclassica prevalente.

Negli anni più recenti Deaton ha concentrato i suoi studi nel campo dell’analisi della povertà e del benessere nei paesi meno sviluppati.
In collaborazione con la Banca Mondiale, egli ha realizzato varie indagini dedicate alla raccolta e alla elaborazione di dati sui comportamenti di consumo delle famiglie al fine di definire dei criteri consolidati di calcolo degli standard di vita. Per superare l’annoso problema della carenza di dati disponibili, Deaton ha dovuto ideare diverse strategie. Una prova della sua inventiva è rappresentata dal modo in cui cercò di verificare se fosse vero che nei paesi più poveri le famiglie tendono sistematicamente a discriminare le figlie femmine rispetto ai figli maschi. In assenza di dati diretti sulla ripartizione delle risorse tra i generi all’interno di ciascun nucleo familiare, egli suggerì il seguente criterio empirico: se alla nascita di un figlio maschio il consumo totale degli adulti della famiglia tende a contrarsi di più rispetto al caso in cui nasce una figlia femmina, ciò può indicare che al maschio vengono assegnate maggiori risorse. Adottando questa metodologia, è stato rilevato che tale discriminazione, pur non essendo sistematica, trova conferme nelle fasi in cui le famiglie sono colpite da eventi avversi.

Nel dibattito di politica economica Deaton è intervenuto in varie occasioni, soprattutto attraverso le sue Letters from America pubblicate periodicamente dalla Royal Economic Society britannica. Allo scoppio della crisi del 2008 egli appoggiò la politica di espansione della domanda di merci avviata da Obama e criticò gli economisti vicini al partito repubblicano che la avversavano. La sua visione politica generale, tuttavia, è emersa più chiaramente nel 2013 a seguito della pubblicazione del libro The great escape, in cui l’autore celebra la «grande fuga» dalla povertà che ha caratterizzato gran parte dell’economia mondiale negli ultimi due secoli e mezzo. In varie parti del volume Deaton sembra abbandonare l’aplomb dell’accademico di rango per rispolverare una vecchia, confutatissima apologia del capitalismo concorrenziale, secondo cui la disuguaglianza costituirebbe un carburante necessario dello sviluppo economico: «Se un governo assicurasse a ciascuno lo stesso reddito, la gente lavorerebbe molto meno e di conseguenza persino i più poveri starebbero peggio che in un mondo che ammette le diseguaglianze». Da qui alla tipica esortazione dei repubblicani americani, di lasciare in pace i ricchi e di accontentarsi delle briciole che cadranno (si spera) dalla loro tavola, in effetti poco ci passa.