È abbastanza ironico che fra i produttori di The Witch (o semplicemente Witch) figuri anche Chris Columbus, regista di alcuni Harry Potter e produttore di un paio di Percy Jackson (oltre che uno dei nomi dietro Mediterranea di Jonas Carpignano). In realtà, al di là della superficialissima assonanza tematica fra il mondo del maghetto creato da J.K. Rowling e quello evocato da Robert Eggers per il suo esordio sulla lunga distanza, i punti di contatto sono davvero pochi. Anche se solo un cinefilo colto come Columbus avrebbe osato mettere il suo peso economico dietro un film genuinamente disturbante e inquietante come The Witch.

Eggers mette le mani nel mondo dei padri fondatori. Nelle radici stesse di quelli che sarebbero poi diventati gli Stati (dis)Uniti d’America. Il suo è un racconto delle origini. Nella vicenda della famiglia alienata dal resto della comunità per divergenze teologiche (una nazione sotto Dio, ricordiamolo), Eggers non solo evoca, ovviamente, Hawthorne per quanto riguarda la messa in scena del precipitato puritano delle prime società americane, ma chiama in causa anche scrittori come Ambrose Bierce e Poe. William (Ralph Ineson) costringe letteralmente la sua famiglia a vivere al di fuori dell’abbraccio del resto della comunità per un moto di hybris imputando lui ai suoi giudici una non perfetta adesione ai precetti divini. Scegliendo la solitudine, come il tralcio della parabola evangelica che non è piantato, l’esistenza di William, e di conseguenza della sua famiglia, non porta frutti, e inaridisce.

In questo vuoto Eggers insinua potentemente la presenza dell’altro. Le streghe, però, non sono una proiezione psicanalitica o femminista. Le streghe sono reali. Come lo è il Diavolo, che le guida. La forza del film di Eggers risiede proprio nel rifiuto fermo di quasiasi tentazione del secondo grado. E nell’affidarsi a una messa in scena scevra da qualsiasi effetto speciale artificiale in grado di erodere l’alone di indecisione todoroviana che Eggers magistralmente imprime al film. Nell’equilibrare un racconto che fa del vuoto ai bordi della foresta un elemento di grandissima forza perturbante, opponendogli un pieno i cui contorni sono solo sommariamente immaginabili, Eggers è come se si collocasse all’albore del cosiddetto immaginario collettivo. La scomparsa del neonato, nell’arco di un battere di palpebre, l’apparizione di una lepre (che non conduce nel paese delle meraviglie), la presenza minacciosa di un capro e il progressivo fallimento del progetto di William, sono gli elementi che ridefiniscono il principio di individuazione di Thomasin (la sorprendente Anya Taylor-Joy). Inevitabile che l’elemento erotico e libidico sia una delle forze trainanti del racconto, inteso come un daimon al di fuori del controllo dell’autorità del maschile che si esprime attraverso la codificazione dei segni del religioso.

In questo senso è interessante notare come mentre il mondo occidentale, confondendo volutamente Daesh con l’Islam, si attrezzi per una guerra santa di religione, un piccolo ma potente film come The Witch esponga le radici di un integralismo ostile a qualsiasi forma di alterità e diversità le cui formulazioni e mutazioni sono ben visibili nel corso della storia nordamericana. Tutto ciò che spaventa nella società statunitense non sono le streghe (anche se raramente filmate in maniera tanto forte negli ultimi anni) quanto la cecità e la violenza di chi ne nega l’esistenza. E, naturalmente, come potrebbe il Diavolo resistere a manifestarsi proprio nelle parole di coloro che si fanno portatori della parola di Dio?

Senza volere assolutamente calare una lettura dall’alto, The Witch è forse il controcampo delle ambiguità americana nella lotta a Daesh. Come un’immagine allo specchio di chi si scopre simile al demone che ha sempre temuto. Eggers, dal canto suo, filma con una pulizia e precisione ammirevole. Nella versione originale l’old english dei protagonisti risuona come una musica spettrale arcaica appoggiandosi sui piani e i campi di Eggers. E l’esplosione del finale è l’unica dichiarazione politica accettabile da opporre a chi vorrebbe da un lato cancellare la donna con un burqa oppure appiattirla sulle modalità di un secolarismo fondamentalista perversamente antistorico.