Militanti da tutta la Sardegna si sono ritrovati ieri mattina a Macomer per protestare contro le inaccettabili condizioni di vita all’interno della struttura che, in provincia di Nuoro, ospita 48 migranti. Una parte dei quali, dopo la rivolta che la scorsa settimana ha reso inagibile una parte dell’edificio a seguito dell’incendio appiccato dai migranti ai materassi delle camere, è stata trasferita a Roma nel Cpr di Ponte Galeria. Quelli rimasti, in attesa che siano conclusi i lavori di ripristino, sono alloggiati in alcune tende piazzate all’interno del cortile del Cpr. I militanti non hanno potuto raggiungere i cancelli perché bloccati, a seicento metri dall’ingresso, da un reparto di polizia. Dopo un’ora circa di presidio, è partito un corteo che dalla zona industriale di Macomer, dove si trova il Cpr, ha raggiunto piazza San’Antonio, nel centro della città. “Siamo qui – dice Michele Salis a nome del comitato No Cpr – per dire no ai Cpr,  in Sardegna e in tutta Italia. Sono luoghi di isolamento fisico e sociale, espressione di un sistema che erode i principi di una società fondata sull’eguaglianza dei cittadini per sostituirli con gerarchie stabilite su base razziale e di classe”.

Per protestare contro ciò che accade a Macomer e in generale contro ciò che i Cpr, in tutta Italia, rappresentano, si è mosso anche il livello istituzionale. Nel tentativo di sbloccare una situazione che ormai dura da anni, la garante regionale dei diritti delle persone private della libertà, Irene Testa, ha inviato una richiesta formale al Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa per chiedere un’ispezione urgente. “Dalla documentazione che abbiamo potuto visionare – dice Testa – è emerso tra l’altro un dato incomprensibile e, a mio avviso, molto grave. Pare che il Cpr di Macomer abbia ospitato anche cittadini europei: un rumeno e un lettone. E persino un americano”. Su quest’aspetto una richiesta di chiarimenti è stata presentata al ministro Piantedosi dalla deputata di AVS Francesca Ghirra, ma al momento dal governo non è arrivata alcuna risposta.  Poi ci sono condizioni di vita che violano apertamente i più elementari diritti umani. “Individui che non hanno commesso alcun reato sono stati isolati – aggiunge Testa – all’interno di un ex carcere. Sono persone abbruttite, costrette alla più totale inattività. Non hanno vestiti oltre a quello che indossavano al momento del trasferimento nel Cpr e dormono senza lenzuola. Non hanno spugne per lavarsi o scope per pulire gli ambienti perché, in teoria, potrebbero usare questi oggetti per atti di autolesionismo. I letti sono vecchi,  le sedie inchiodate al suolo. Non ci sono zone comuni”.

Il Cpr di Macomer è gestito dalla Ekene Onlus, che ha sede legale in Veneto. Nata nel 2017, la Ekene è una diretta emanazione della Edeco, una cooperativa nota per la gestione, più volte al centro di polemiche per le condizioni di vita dei migranti ospitati al loro interno, di alcuni centri di accoglienza veneti, in particolare della struttura realizzata nell’ex base militare di Cona (in provincia di Venezia) e del Cpr di Bagnoli (in provincia di Padova). “Ma al di là della gestione del centro sardo – hanno denunciato ieri i militanti a Macomer – è la violazione dei diritti umani il problema dei Cpr, non solo in Sardegna. In questi luoghi la violenza  è un fatto costante,  sia in senso psicologico sia in senso fisico. Sono infinite le denunce per il trattamento inumano e degradante delle persone recluse. La regola è l’arbitrio del più forte, il silenzio delle vittime e il lucro dei privati. I Cpr vanno chiusi”.