Abbassare i toni, svelenire il clima. Da Palazzo Chigi il messaggio è chiaro dalla mattina, quando Matteo Renzi si presenta al fianco della ministra Guidi all’incontro con la delegazione delle acciaierie di Terni. È il giorno dopo le cariche agli operai. Gli spin del premier si impegnano in una operazione simpatia: twittano le foto di una stretta di mano fra Landini e il presidente del consiglio; poi quelle del leader Fiom seduto al fianco del sottosegretario Delrio alla conferenza stampa. Come dire: dopo tante distanze e incomprensioni (persino al telefono: subito dopo le botte era uscita la notizia di una telefonata fra premier e segretario, poi smentita dal secondo) tra i due la pace è fatta. In effetti anche Landini, dopo lo sfogo drammatico rilasciato davanti alle telecamere al momento della carica, stavolta sorveglia i toni: alla domanda se i metalmeccanici chiedono le dimissioni del ministro degli interni Alfano, a sorpresa il leader Fiom risponde: no, la richiesta è l’impegno a che episodi così non si ripetano più. E si capisce: la vertenza dell’Ast è dura, il governo ha promesso di fare la sua parte per salvare i posti di lavoro, al leader sindacale l’ultima cosa che serve è rinfocolare le polemiche. Alle camere, nel pomeriggio, un Alfano in arrampicata sugli specchi renderà merito a Landini che in piazza «ha contribuito a portare la calma tra i manifestanti».

In quegli stessi minuti però Susanna Camusso su Radio 1 rovina tutto il lavoro di ricucitura: «Il presidente del consiglio dovrebbe provare ad abbassare i manganelli dell’ordine pubblico», dice. Stavolta dal Pd quasi non esce fiato. Il giorno dopo la rovinosa uscita di Pina Picierno sulle presunte «false tessere» del congresso Cgil, l’imperativo categorico è, appunto, darsi tutti una calmata. Le «micce» – copyright Bersani – su cui il Pd può esplodere, coinvolgendo il governo, si sprecano: il jobs act che ieri è iniziato il suo iter in commissione alla camera; la legge di stabilità, che procede in parallelo; la scissione che non c’è ma riempie ugualmente i titoli dei giornali; e da ultimo il pasticciaccio degli operai menati. Sel e 5 stelle hanno annunciato una mozione di sfiducia individuale contro Alfano. Il governo non teme la prova dei numeri, quando sarà. Ma la figuraccia sì: ci vuole la faccia del presidente Zanda al senato, e i distinguo di Emanuele Fiano alla camera, per sorvolare sulle responsabilità del ministro sulla «applicazione delle direttive e delle regole d’ingaggio» delle forze dell’ordine in piazza. Su Alfano, e cioè su tutto il governo, il Pd oggi stende uno scudo protettivo. Ma l’imbarazzo resta: la blindatura del ministro dell’interno è un clamoroso déjà vu. Solo un anno fa furono i renziani a chiederne le dimissioni dopo il caso Shalabayeva. Il premier all’epoca era Enrico Letta.

Insomma, sono tante le pentole in ebollizione su cui ora il governo deve mettere il coperchio prima che le cose vadano troppo avanti. Per esempio, dalle botte in piazza alla responsabilità del premier il passo è breve: lo fa il bersaniano Davide Zoggia dalle colonne del Corriere della sera: parla di «certe coincidenze» fra le parole del finanziere Davide Serra (quello che vuole abolire lo sciopero per i dipendenti pubblici) e i poliziotti che tre giorni dopo «abbassano la visiera del caso e caricano». Tradotto: Renzi è il cattivo maestro dei poliziotti violenti. La minoranza Pd in realtà non ha nessuna intenzione di mettere in difficoltà il governo, ma neanche di facilitargli l’uscita dai guai. In serata arriva invece un segnale di distensione dalla Cgil. «È stato fatto quel gesto che da ieri chiedevamo: scusarsi con lavoratori ingiustamente malmenati», dice Camusso. È un generoso gesto di buona volontà. Perché Alfano ha parlato di solidarietà con «operai e poliziotti feriti». Ma le scuse non le ha mai fatte.