Nella tradizione letteraria e filosofica, la parola «sfinge» evoca il mito di Edipo e il celebre enigma «esistenziale» che il demone femminile posto a custodia di Tebe rivolse al futuro re dell’antica città della Beozia. Tuttavia, per la gran parte del mondo, la Sfinge è il volto misterioso e serafico della gigantesca scultura che si staglia sulla piana di Giza, venti chilometri a sud-ovest de Il Cairo. Non è dunque un caso che il ministro egiziano alle antichità, Mamdouh al-Damati, abbia puntato proprio sul restauro del colosso dal corpo di leone e dalla testa umana per rilanciare il turismo verso il paese dei faraoni. Le statistiche della World Tourist Organization rivelano che, dopo la rivolta del 2011 e l’instabilità politica che ne è conseguita, i visitatori sono passati dai circa 14 milioni del 2010 ai 9 milioni del 2013. Alcuni giorni fa, al-Damati – assieme al primo ministro Ibrahim Mahlab e al ministro per il turismo Hisham Zaazou – si è recato nella necropoli di Giza per inaugurare la riapertura del piazzale che conduce ai piedi della Sfinge. Il direttore del progetto Mohammed al-Saidi, ha spiegato i lavori di restyling della statua, che hanno interessato la sostituzione dei blocchi danneggiati nella parte sinistra della figura e il trattamento del busto e del collo con un materiale anti-erosione. In ombra e avare di dettagli le notizie che riguardano il restauro della piramide di Micerino e il tempio di Amenofi II.

In base alle indiscrezioni che trapelano dai media egiziani e stranieri, l’accesso al cortile prospiciente la Sfinge sarà vincolato d’ora in poi al pagamento di un biglietto, il cui «premio» è l’opportunità di sfiorare il monumento, camminandoci liberamente attorno e spingendosi fino alla Stele del Sogno di Thutmosi IV. Ed è proprio questa concessione a far riflettere sull’attuale politica di valorizzazione di uno dei siti più visitati al mondo. Come mostrano anche i recentissimi casi mediatici dello scavo del tumulo di Amphipolis in Grecia e delle ricerche nell’area di Mont’e Prama in Sardegna, l’archeologia del XXI secolo sembra aver trovato un feeling diretto con i suoi fruitori. Se nell’800 si compivano sterri mirati a mettere in evidenza la maestosità delle rovine, la seconda metà del Novecento ha condotto all’utilizzo di una metodologia stratigrafica finalizzata alla conoscenza e non solo alla grandiosa scoperta dell’antichità. Eppure, quello che fu lo sguardo erudito e contemplativo dei secoli passati si è trasformato oggi in una «dittatura delle immagini» che offusca il valore del contenuto. La cultura è divenuta un prodotto di consumo per la massa e la sua promozione non può che somigliare a uno spot pubblicitario attrattivo e seducente.

La Grande Sfinge si fa dunque più bella e più vicina. A portata di selfie, insomma. E mentre migliaia di followers attendono che venga rivelata l’identità del defunto di Amphipolis fantasticando sulle spoglie di Alessandro Magno, sempre sulla rete impazzano blogs che vedono nell’imponente appeal dei giganti di Mont’e Prama la vittoria degli eroi nuragici sulla «banale quotidianità» dei resti archeologici dell’isola. Se da una parte non si possono biasimare le aspirazioni di tre paesi in crisi che cercano di interrogarsi sull’utilizzo delle proprie risorse, dall’altra ci si chiede se la strumentalizzazione del patrimonio sia non solo eticamente giusta ma anche strategicamente vincente.

L’attuale dibattito sulla restituzione dell’arena del Colosseo ha portato all’attenzione il delicato tema della «apertura» dei monumenti alla contemporaneità. A questo proposito, il ritorno di un’altra sfinge – quella che adornava la Statua del dio Nilo nel centro storico di Napoli, trafugata nel secondo dopoguerra e rinvenuta un anno fa dal Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale – testimonia che l’eredità dell’antico può essere radicata nella memoria del popolo e nel suo senso di appartenenza a civiltà lontane persino nello spazio, senza dover ricorrere alla sua mercificazione. Infatti, il restauro della scultura di età romana nota anche come o cuorpo ’e Napule è stato finanziato – tramite la vendita di cartoline con l’effigie di Pulcinella – da 2.200 cittadini, che l’hanno appena restituita alla comunità. Avviata dagli studenti dell’Istituto Comprensivo Teresa Confalonieri – i quali, per l’occasione, hanno assunto le sembianze del fiume Nilo e della sfinge che di nuovo lo accompagna – la cerimonia è stata animata, oltre che da concerti, da un reading teatrale ispirato alla scienziata Ipazia di Alessandria, probabile città d’origine dell’artista alla quale l’opera d’arte «partenopea» è attribuita.