Alcuni anni fa, era il 2010, sono spariti. Non si sapeva più nulla di loro e nella repressione durissima scatenata in Bielorussia da Lukaschenko contro chi contestava il suo regime, e i risultati elettorali che lo avevano riconfermato al potere, si era temuto per la loro vita. In particolare per i due fondatori del Belarus Free Theatre, Natalia Kaliada e Nicolai Khalezin, da sempre nel mirino della polizia di stato ostile a un pensiero critico come è quello che attraversa il loro teatro. Sin dall’inizio il gruppo fondato a Minsk dalla coppia, unita anche nella vita, insieme al regista Vladimir Scherban, è stato costretto alla clandestinità, a organizzare i propri spettacoli di nascosto: i luoghi e gli orari erano segreti, il pubblico contatatto tramite sotterfugi, e a correre il pericolo non erano solo gli artisti ma anche gli spettatori che potevano essere arrestati a loro volta per trovarsi lì.

 

 

Invece Natalia Kaliada e Nicolai Khalezin sono ricomparsi, esuli a Londra dove vivono e lavorano tuttora, e dove sono riusciti a far arrivare anche i loro figli. Del resto la scena inglese è stata quella che li ha sostenuti con maggiore determinazione lanciando appelli contro le persecuzioni firmati da nomi come Pinter o Stoppard.

 

 

Una parte del gruppo è rimasta in Bielorussia, e chi sta fuori ha cresciuto nuove generazioni di attori internazionali – in Red Forest, lo spettacolo da stasera al Vascello nell’ottimo cartellone di Le Vie dei festival c’è anche un giovane italiano, Francesco Petruzzelli.
L’esilio però non sembra avere smorzato la forza antagonista di un lavoro che del teatro cerca di ritrovare la funzione fondante, di luogo cioè in cui la collettività può scoprire una coscienza, e una rappresentazione della realtà nei suoi conflitti. E senza retorica né frasi fatte, perché la bellezza del Belarsu Free Theatre è proprio la distanza dichiarata dall’idelogia, la loro arte è politica nella sostanza, nel fare, nell’essere vita al lavoro, nella ricerca continua di una forma che sappia tirare fuori il conflitto dei tempi.

 

 

Red Forest (replica domani alle 21.00) parla della devastazione ambientale, un tema discusso anche se mai abbastanza che ci riguarda nel quotidiano, nei gesti di ogni giorno prima di tutto, e su questo scarto di consapevolezza impercettibile gli artisti hanno costruito il loro lavoro. «Crediamo che sia importante rompere la bolla che ci avvolge in cui si crede che tutto va bene finché i problemi non ci arrivano addosso» dice Natalia Kaliada, capelli cortissimi scuri, occhi grigi, l’aria concentrata a scegliere con cura le parole.
Il fracking, ad esempio, l’estrazione di gas giacimento di carbone che ha massacrato l’America diffondendosi rapidamente nel mondo, in Inghilterra è al centro di una campagna contro. Racconta Kaliada, che dello spettacolo, prodotto insieme al Young Vic London è coautrice dei testi – la regia è di Nicolai Khalezin – che persino la regina Elisabetta è intervenuta criticamente sull’argomento. No nel mio cortile, Not in My Back Yard è lo slogan. «Non è ancora una legge ma il governo inglese accelera, e se le cose andranno avanti le multinazionali potranno scavare senza rispetto per le case e le persone che vivono nei terreni da trivellare». Aggiunge: «L’Europa preferisce ignorare quanto sta accadendo molto vicino ai suoi confini. La Russia attuato una politica sempre più aggressiva, come dimostra l’attacco all’Ucraina di cui il gas è stato tra i motivi principali. Lo stesso vale per la Bielorussia dove si stanno installando nuove centrali nucleari fuori dalle norme di sicurezza europee. Si fa finta di nulla ma sono lì, e il fatto di non essere politicamente ’dentro’ all’Europa non risparmia da eventuali catastrofi. Anche per questo tra le storie di Red Forest ce ne è una che parla di Chernobyl, è importante non dimenticare».

 

 

Protagonista di Red Forest è Aisha, una donna scappata dalla Liberia attraverso il Congo. E questa sua fuga che sembra non avere fine si intreccia a altri racconti, altre fughe, altre resistenze, in cui entrano miti, leggende, canzoni di tanti paesi. Per preparare lo spettacolo la compagnia ha viaggiato in piccoli gruppi attraverso il mondo, dal Marocco alla Bielorussia, dal Brasile all’Australia, e poi l’India, la Siria, l’Iraq.Nei sopralluoghi hanno girato anche immagini e infine si sono ritrovati per condividere tutto quanto avevano raccolto. «È stato complicato riassumere così tanti spunti, noi non lavoriamo su un testo, partiamo da degli ’studi’, su quelli poi creiamo quella che diventa la storia centrale. Ma ciò che si vede sul palcoscenico è un racconto, poi c’è bisogno di azione, sta al pubblico reagire». Si può cominciare oggi, flashmob alle 18 nella capitale, in via Alessandrina.