Per amor vostro. Glielo hanno martellato in quella sua «capa sciacqua» tutta la vita a Anna figlia, moglie, madre, ruoli che per lei sono diventati come stazioni di una passione quotidiana e senza apparente riscatto. Da ragazzina la mamma l’ha mandata in riformatorio per salvare il fratello ladruncolo – «Devo pensare a tutta la famiglia» – lei piccola e femmina se la sarebbe cavata con pochi anni, il marito usuraio la minaccia, è un delinquente ma si sente il migliore, le grida sempre che è colpa sua se il figlio è nato sordomuto, era lei che prendeva la pillola. I genitori le chiedono soldi, i figli fanno la loro vita, col ragazzo ha un legame speciale pure se lui non sopporta vederla farsi prendere a schiaffi dal padre, che la figlia invece adora.

Poi c’è l’amico Ciro, che le ha insegnato il mestiere di gobbista per gli attori di lacrimose fiction tv (quanto siano tremendi lo sappiamo nella realtà), a lui lo hanno cacciato, hanno fatto il contratto a lei. Ma lui (è il sempre fantastico Salvatore Cantalupo) è divorato dai debiti di gioco, minacciato di morte, vuole un prestito, è disperato. Si sistema tutto dice Anna come un mantra, anche questo se lo è sentito ripetere di continuo, è una cosa da niente proprio come si sente lei. L’unico che la guarda in modo diverso è la stella della telenovela (Giannini) ma stai attenta le dice l’amico, sarà amore o un’altra illusione?
Basta un tappeto di rose e una battuta strappalacrime per perdere la testa.

E’ arrivato l’ultimo giorno, Per amor vostro, quarto titolo italiano in concorso, del fuoriclasse più irregolare del nostro cinema Giuseppe Gaudino (secondo film narrativo dopo Giro di lune tra terra e mare di cui ritroviamo alcune invenzioni visionarie), scritto insieme a Isabella Sandri e a Lina Sarti, la storia di una donna narrata dal profondo del suo cuore, dei suoi occhi, dei suoi incubi, delle angosce e del dolore che virano tra bianco e nero e colori accesi di fantasie oniriche e ricordi, iconografie di santi e di folli, di peccato e redenzione, di farsa e di tragedia, sopra e dentro le viscere della città in cui si svolge, Napoli. Dove il Vesuvio si tinge di scuro e il mare è animato come un gorgo di una fiaba nera (i disegni sono dello stesso Gaudino) e libera miti e leggende mediterranee che somigliano a una sceneggiata o una canzonetta della vecchia tivù.                                                                                                                                                                                                                                                  

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Il film non poteva esistere senza la sua protagonista, Valeria Golino, la migliore delle nostre attrici (Coppa Volpi subito!), col suo talento straordinario di interprete capace di entrare con ogni muscolo, nervo, corda dell’emozionalità nella materia del fotogramma, espandendolo dentro e fuori di sé. Perché è lei, come Anna, dimessa con quel cappotto che si trascina nella corsa quotidiana, coi capelli tirati via in fretta, e il viso bello che nessuno sembra mai guardare che delimita l’inquadratura. La macchina del presa coincide coi suoi pensieri più segreti, ne scova le allucinazione, gli incubi antichi e il mondo che vediamo è quello della sua anima che accoglie tutti gli umori e le negatività della città per trasformarli in amore. Non usciamo mai da lei, dal suo sguardo, dal movimento dei suoi pensieri: tutto è lì in quella testa e in quel corpo.

E’ una santa Anna, sempre pronta a mettersi da parte, ma quel silenzio la consuma, le visioni della sua città la divorano come l’immagine di sé stessa bambina che le monache facevano volare appesa un filo con le ali spennacchiate e la colomba in mano per il giorno dell’Assunta. Allora era piena di coraggio, sfidava qualsiasi paura, poi la vita, e un certo opportunismo l’ha piegata. «Amore è una parola che nessuno mi dice più» sospira, sarà davvero un nuovo amante la via di fuga per riscattare infine se stessa?
Gaudino come un mago, un alchimista di saperi antichi e preziosi mescola i materiali, prende il realismo e lo trasforma in fiaba, unisce in un fraseggio colto e raffinato fantasmi, tradizione popolare, seduzioni televisive in uno dei film più liberi visti qui la Lido, nel quale la linea narrativa, il romanzo di una donna e la conquista di un suo spazio nella vita, prende la forma intensa del suo essere, la scala cromatica dei suoi sentimenti. E senza trucchi, ma con pura «meraviglia» trasforma in immagini la prima persona che si denuda sul mondo, i suoi conflitti e la sua fragilità. Anna vive su un perenne abisso, esistenza che risucchia le sue emozioni, sfinimento del quotidiano oppressivo di pretese, sospesa sul vuoto di un salto che non riesce a fare, non da sola almeno, non senza farsi prendere in qualche altra illusione da creatura semplice, confusa nei suoi guizzi improvvisi di libertà.

«Vorrei che al pubblico arrivasse l’esperienza di una donna che per troppo tempo ha vissuto senza prendere posizione, nell’incertezza di come e quando intervenire. Anna prende coscienza quando vede che anche i suoi figli la stanno abbandonando e trova il coraggio di un gesto di rottura».La chiameranno traditrice, moglie infedele, «infame» per questo, altre categorie possibili di un femminile. La storia di Anna è una storia attuale, presente, comune ma non troppo di ribellione e desiderio di felicità. Una storia semplice, come il suo personaggio, appunto, e una storia complessa come le vite di chi si mette nell’ombra e finge di nulla, preferisce non sapere da dove arrivano le cose, i soldi, e la rabbia della gente intorno.

E a questa ribellione contemporanea, civile, etica, Gaudino da una forma che rompe – proprio come fa la sua eroina, personaggio unico nel cinema italiano che ancora poco spazio concede alle donne narrate in modo obliquo fuori dalle convenzioni – con le abitudini di un cinema «impegnato» o che racconta la realtà spostandone le tensioni nell’immaginario, antico o contemporaneo, di santini e di amanti disilluse poco importa. La potenza del film (in sala il 17) è questa sua invenzione, la sostanza magica e espandibile delle sue immagini e profonde. Quel gesto liberatorio che spezza l’omertà di ricatti, abusi, estorsioni. La realtà di Anna è la nostra.