Dal punto di vista della salute, il nostro è un paese diviso in due per colpa di una sanità finanziata poco e male. E l’autonomia differenziata, prevedono gli autori del rapporto, aumenterà ulteriormente le disuguaglianze.

È la sintesi del rapporto «Un Paese due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute» presentato ieri a Roma dall’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno (Svimez) insieme alla ong Save the Children.

Negli ultimi anni, i principali indicatori di salute sono migliorati (di poco) in tutta Italia. Ma dato che nelle Regioni del sud il progresso è più lento, il divario si allarga. Per esempio, chi vive nelle regioni del Sud oggi ha un’aspettativa di vita inferiore di 1,3 anni rispetto al Centro e al Nord-Ovest e di 1,5 rispetto al Nord-Est.

Stesso discorso per la mortalità evitabile, cioè i decessi che si possono prevenire grazie a un’assistenza tempestiva ed efficace, sensibilmente più alta nel Sud (18 decessi evitabili per diecimila abitanti, contro i 14-16 del resto del paese).

NEGLI ULTIMI ANNI è anche avvenuto un sorpasso storico. Fino al 2010, infatti, i più alti tassi di mortalità per tumore si registravano nelle regioni del Nord-Ovest caratterizzate da un maggiore inquinamento e da uno stile di vita più insalubre. In poco più di un decennio la situazione si è invertita: ora la mortalità di tumore di donne e uomini del Sud è la più elevata del paese.

C’entra anche la minore attività di prevenzione: solo il 12% delle donne calabresi si sottopone alle mammografie periodiche proposte dal Ssn contro il 75% delle emiliano-romagnole. «Rafforzare la dimensione universale del Sistema sanitario nazionale è la strada per rendere effettivo il diritto costituzionale alla salute» dice Luca Bianchi, direttore dello Svimez e autore del rapporto.

Invece la tendenza va in senso opposto. A partire dall’investimento in sanità pubblica e dalla sua ripartizione tra le regioni. La spesa pubblica è più bassa rispetto ai paesi simili al nostro.

L’Italia, secondo lo Svimez, è l’unica grande economia europea in cui tra il 2010 e il 2019 l’investimento pubblico pro-capite in sanità è diminuito in termini reali «di oltre il 2%» mentre in Francia e Germania è aumentato di più del 30%. Anche la risalita post-pandemia (+5%) è stata inferiore a quelli di Germania, Francia, Regno unito, Spagna e Portogallo, tutte a due cifre.

Di conseguenza, tocca ai cittadini compensare di tasca propria le carenze del servizio pubblico. La spesa privata a carico delle famiglie italiane rappresenta il 24% della spesa sanitaria complessiva, contro il 15% della Francia e il 13% della Germania. Dato che la rinuncia alle cure per ragioni economiche tocca l’8,2% del nuclei familiari meridionali contro il 4-6% del resto del Paese è fisiologico che l’assistenza sanitaria risulti peggiore al Sud, dove cinque regioni su otto non garantiscono nemmeno i Livelli essenziali di assistenza.

ANCHE IL SISTEMA di ripartizione del fondo sanitario nazionale alle Regioni pare fatto apposta per aumentare le disuguaglianze, spiega il rapporto. I fondi vengono assegnati in base al numero di residenti totali, dei neonati e degli anziani.

Le condizioni socio-economiche, che secondo una letteratura ormai amplissima influenzano i bisogni sanitari della popolazione, contano in minima parte (1,5%). Facendo parti uguali tra disuguali si penalizza il Sud più povero e bisognoso di cure.

«La condizione di povertà familiare – afferma Raffaela Milano di Save the Children – incide fortemente sui percorsi di prevenzione e sull’accesso alle cure da parte dei bambini. È necessario un impegno delle istituzioni a tutti i livelli per assicurare una rete di servizi di prevenzione e cura per l’infanzia e l’adolescenza all’altezza delle necessità, con un investimento mirato nelle aree più deprivate».

L’arrivo dell’autonomia differenziata rischia di rendere ancor più netti i contrasti territoriali. Il gettito fiscale trattenuto dalle regioni più ricche ne rafforzerebbe le capacità di spesa sanitaria a scapito delle altre. Per gli esperti dello Svimez «si rischierebbe dunque di aumentare la sperequazione finanziaria tra sistemi sanitari regionali e di ampliare le disuguaglianze interregionali nelle condizioni di accesso al diritto alla salute».