Le vicende libiche hanno ormai preso una traiettoria complicata e di non facile lettura. Complice anche la difficoltà a reperire informazioni di prima mano, capaci di non essere smentite o negate nel giro di pochi minuti, come capitato nei giorni scorsi, quando gli Usa hanno accusato l’Egitto e gli Emirati arabi di bombardare Tripoli. Ipotesi smentita seccamente, nel giro di pochi istanti, dal Cairo. Abbiamo chiesto ad Angelo Del Boca, storico del colonialismo italiano e biografo di Gheddafi, alcune opinioni sull’attuale crisi libica.

Intanto, come potremmo definire e raccontare quanto sta accadendo in queste ultime ore in Libia

La situazione è disperata, non ho mai usato un termine così violento, ma oggi possiamo ampiamente dirlo. La morte di Gheddafi invece di risolvere la situazione – come qualcuno aveva erroneamente sperato, ha accentuato la divisione del paese.
Gheddafi era stato capace di tenere sotto controllo e far dialogare 140 tribù, ripeto il numero, perché è importante, 140. Nei suoi anni di dittatura era riuscito a intrattenere buoni rapporti con tutti questi gruppi tribali, quindi in fondo la Libia, poteva essere considerato un paese tranquillo, anzi se vogliamo ricordare le cose per bene, si può affermare che fosse un paese piuttosto disponibile nei confronti dell’Occcidente e capace di costituire una copertura contro gli islamisti.

Qual è stato l’errore da cui è partito tutto?

L’errore non è stato casuale, secondo me è stato voluto, ed è consistito nel decidere di attaccare Gheddafi.
La decisione faceva parte di interessi europei e in modo particolare della Francia, che come sappiamo aveva buoni rapporti con Gheddafi, anzi pare che il leader libico avesse addirittura prestato 50 milioni di euro per la campagna elettorale di Sarkozy e forse per celare questa informazione è stato ucciso non solo dai droni partiti dalla Sicilia, ma dai raid aerei dei francesi.

Come si è arrivati a questo caos odierno?

Il generale Haftar, già sconfitto in Ciad, ha vissuto gli ultimi vent’anni della sua vita negli Stati uniti e mi pare chiaro che non stia riuscendo ad avere il sopravvento sugli islamisti. Oggi in Libia non c’è una forza che possa vincere con le armi, perché ci sono almeno un centinaio, alcuni dicono 300, piccole repubbliche diciamo libiche che si contendono il loro piccolo territorio e il denaro che esce dal petrolio e in un certo senso non vogliono accordarsi.
Finché queste forze non sono disarmate e non nasce una Libia davvero indipendente con un esercito e una polizia validi…non ci sono possibilità di soluzione politiche.

Ieri sul manifesto abbiamo ospitato un intervento di Jean Ping, ex ministro degli esteri gabonese e soprattutto ex presidente della Commissione dell’unione africana, nel quale viene tratteggiato il percorso politico che portò all’eliminazione di Gheddafi. Oggi può avere un ruolo l’Unione africana? E quale potrebbe essere l’impatto delle milizie islamiste in Libia?

Credo sia completamente fuori gioco, come del resto lo fu durante la guerra civile, quando non era riuscita a determinare l’esito di tutto quanto stava avvenendo. Oggi possiamo dire che la Libia è una nuova Somalia, divisa, con un’enormità di armi in giro. Perché anche questo fa parte della tragedia: in Libia ci sono molte armi, anche pesanti, perché Gheddafi ha sempre pensato di arricchire in continuazione il suo patrimonio bellico.

È vero che alcune di queste armi vennero vendute in giro, in Africa, ma molte sono ancora lì. Per quanto riguarda le milizie islamiste, credo siano molto forti e penso che Haftar non abbia le forze per contrastarli davvero.

Come provare a risolvere la situazione, quindi?

Non credo che dopo l’esperienza di tre anni fa, dopo la guerra civile, ci siano ancora paesi occidentali che si vogliono impegnare in una guerra sul terreno in Libia. Non credo che possano arrivare forze straniere, è una questione assolutamente interna, con due parlamenti uno a Tripoli e uno a Dobruk, se ci si potesse ridere sopra la situazione appare addirittura comica.