Per uscire dalla melma del «Mondo di mezzo», Matteo Renzi si aggrappa alla faccia pulita del sindaco di Roma Ignazio Marino. E ci mette pure la sua, in uno video-spot lanciato via Twitter. Per dire, con parole semplici semplici agli italiani ancora sotto choc per l’inchiesta sulla «mafia Capitale», che siccome «non basta essere indignati per qualche ora» e non è vero che lì «son tutti uguali», adesso si cambia registro: «Siamo quelli che hanno commissariato il Mose – rivendica l’ex sindaco fiorentino – che hanno sbloccato l’Autorità Anticorruzione, nominando Raffaele Cantone, che hanno introdotto il reato di autoriciclaggio. E adesso siamo quelli che annunciano le pene». «Chi ruba, chi corrompe, sarà perseguito fino all’ultimo giorno, fino all’ultimo centesimo», assicura il premier.

Come? Attraverso «piccole» ma «molto serie e significative modifiche» al codice penale che Matteo Renzi porterà domani, insieme al Guardasigilli Andrea Orlando, sul tavolo del Consiglio dei ministri.

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Non scende nei particolari, il premier, e annuncia solo l’«innalzamento della pena minima del reato di corruzione da 4 a 6 anni», procedure semplificate per la «confisca dei beni» dei criminali, un non meglio precisato obbligo di restituzione del «maltolto» e l’«allungamento del periodo di prescrizione nei reati legati alla corruzione» (ma non nomina l’ex Cirielli, la legge berlusconiana che fa dipendere la prescrizione dalla pena edittale massima del reato).

Parole pronunciate dopo aver predisposto col ministro Alfano la delega al prefetto della Capitale, Giuseppe Pecoraro, per l’apertura del lungo iter di accesso e verifica degli atti del Comune di Roma e dei suoi municipi. Una procedura concordata con lo stesso Marino e che spazza via qualunque ipotesi di scioglimento per mafia del Campidoglio, caldeggiata dagli alleati del centrodestra.

Non solo: le dimissioni del sindaco, richieste a gran voce anche dal M5S, sono fuori discussione. Il perché lo spiega Matteo Orfini, inviato dal segretario dem a risanare il partito romano: «Marino è un buon sindaco, inoltre dalle carte dall’inchiesta emerge che è un nemico della criminalità organizzata e della mafia. Dobbiamo ripartire da questo sindaco e da questa amministrazione e ripulire quello che dobbiamo ripulire anche a casa nostra, nel Pd». E non sarà un’impresa né semplice né breve: «Il Pd da anni era ostaggio di gruppi dirigenti che pensavano più a costruire guerriglie di corrente interne al partito che ai problemi della città». Un approccio, quello di Orfini, che scava sul fondo. Che si interroga sul sistema delle preferenze uniche, «uno strumento particolarmente rischioso perché in una città come Roma la preferenza unica per diventare consigliere comunale costa tantissimo», e dunque «se usate male possono favorire le infiltrazioni». Il commissario per conto di Renzi oggi porterà queste riflessioni al centro culturale «Elsa Morante», al Laurentino 38, per l’assemblea pubblica del Pd che inizierà alle 17, alla presenza dello stesso Marino. «Ci vediamo domani, nel mondo reale», cinguettava ieri Orfini.

Nel frattempo, però, aspettando il risanamento morale non solo del Pd ma dell’intera classe politica romana, il prefetto della Capitale, incaricato dal ministro Alfano, invierà tre ispettori in Campidoglio per passare al vaglio tutti gli appalti in essere o affidati negli ultimi anni: «Non si tratta di un commissariamento – ha precisato Pecoraro dopo aver incontrato ieri sera il sindaco – ma di tre funzionari, da me delegati, che accederanno ad alcuni atti del Comune di Roma e dei municipi». Lo stesso Marino, che nei giorni scorsi si è confrontato spesso con il ministro Alfano e lo stesso prefetto, e ieri si è recato nuovamente al ministero dell’Economia, riferisce di essersi «permesso di suggerire – ma saranno prefetto e ministro a decidere – di coinvolgere gli stessi ispettori del Mef che hanno lavorato nei nostri uffici per quattro mesi, in modo da renderci conto se ci sono aspetti anche solo opachi nella gestione degli appalti nella gestione del nostro Comune».

Il sindaco, dopo l’incontro avuto in serata con Pecoraro, ha spiegato che «al momento non c’è nessuna evidenza della pervasività o dell’attualità della presenza mafiosa in Campidoglio, e per questo – ha aggiunto – auspico che l’azione del prefetto sia la più incisiva possibile. Vogliamo sapere se ci sono aspetti, anche semplicemente opachi, nella gestione degli appalti del nostro comune».

Dalla parte politica che fu la maggioranza dell’ex sindaco Alemanno, però, si alzano insistenti le richieste di dimissioni. Ed è a loro che risponde Marino: «Chi chiede il commissariamento o lo scioglimento del comune per mafia evidentemente ha interesse a conclamare una sorta di teorema. Se si scioglie il Comune per mafia significa che sono tutti mafiosi. Mentre l’inchiesta si basa soprattutto sugli anni del governo Alemanno».