Uno spettacolo può nascere come saggio di fine corso di allievi attori (e in effetti questo così nasce) per trasformarsi in una aggressiva epifania del miglior teatro elisabettiano, stringato e battente attorno al «peccato» che ne è sostanza. Peccato fosse puttana è un testo di John Ford celeberrimo già per il titolo, e da noi per il film con Charlotte Rampling che ne trasse Giuseppe Patroni Griffi (Addio fratello crudele, battuta dal momento più tragico del testo), messo in scena raramente, a parte la memorabile versione che Luca Ronconi dislocò dentro il Teatro Farnese di Parma (città dove il racconto è ambientato), addirittura in una doppia versione, una tutta maschile ed un’altra con attrici e attori.

Il «peccato» vero (quello del titolo è una pura interiezione) è il libero corso che i nobili fratelli Giovanni e Annabella danno all’amore fisico che reciprocamente li divora. Con tutti gli sviluppi, le distorsioni, le gelosie, le punizioni e le vendette che tale iniziativa può scatenare nel microcosmo cortigiano di una città. Prova importante per i giovani allievi del terzo anno dell’Accademia Silvio D’Amico, che per dar corpo a tutte quelle umanità estreme, giocano ogni strumento posseduto o appreso. E di quella prova il regista Valentino Villa fa una visione rara e memorabile, densa di fascino quanto di inquietudini.

Benché spettacolo costituzionalmente economico, in quanto «saggio», sia la scena di Bruno Buonincontri (cornici e specchiere riflettenti, dai notevoli effetti) che i costumi coordinati da Maurizio Millenotti con la apposita sezione del Centro sperimentale di cinematografia, rendono perfetta l’iconografia di una eterna classicità (di prevalenza ovviamente seicentesca) di questo «peccato» senza tempo, tanto blasfemo quanto vitale. Dagli armigeri alla servitù, dagli innamorati fino a madame e gentiluomini gabbati, tutti danno ai loro ruoli una grinta senza requie né appagamento.

Il lavoro più interessante del resto, è proprio la regia di Villa, che lavorando sulla traduzione di Nadia Fusini, ha ritagliato a tutto tondo i personaggi a misura degli attori, con effetti sorprendenti per dei debuttanti. Che a loro volta si mostrano già in grado di maneggiare innocenza e abiezione, desiderio carnale e sete di sangue, indolente estetica del corpo e saettanti scatti felini (ben ammaestrati da Marco Angelilli).

Si entra così direttamente nella storia attraverso il desiderio di Giovanni, che lo espone alla sorella Annabella con decisione mai aggressiva, ma senza neanche il falso pudore che la situazione potrebbe far temere. La vittoria dei corpi e del cuore (nel sesso come nella morte) su regole , convenzioni e divieti è conseguente e lineare, e per lo spettatore di oggi anche rivelatrice di conflitti importanti della cultura elisabettiana.

Conflitti che nell’inconscio di ognuno possono scaraventare nell’oggi, in tante sfide di una condizione «orfana» che sceglie di «peccare» perché non può più opporsi in alcun modo. Repliche fino al 13 febbraio, tutti i giorni alle 17.30 e alle 20; ingresso libero, ma prenotazione obbligatoria al 366 6815543.