Nel corso di uno scontro politico Corradino Mineo ha dato dell’autistico a Matteo Renzi. Il premier ha trasformato un’offesa rivolta a lui in un’offesa rivolta ai bambini autistici costringendo il suo oppositore a scuse immediate. È un consolidato artificio retorico spostare un contenzioso dal suo terreno reale, in cui la sua gestione è scomoda, a un terreno improprio che tuttavia consente un vantaggio nei confronti del proprio contendente dovuto alle reazioni emotive che lo spostamento ha causato. Il vantaggio sul piano emotivo ha preventivamente la meglio su un eventuale svantaggio sul piano della ragione perché la scarica emotiva può produrre effetti immediati mentre il ragionamento richiede un tempo di sedimentazione dei vissuti che è più lungo. Se Renzi si fosse limitato a denunciare il giudizio di Mineo su di lui come offensivo sarebbe stato costretto ad entrare nel merito della critica subita al di là della sua forma eccessiva. Denunciando, invece, il suo oppositore come uomo di pregiudizi che discrimina perfino i bambini, l’ha incastrato nel ruolo di un interlocutore violento che agisce impulsivamente spinto dalla propria intolleranza e rende ogni sforzo di confronto vano.

L’ansia dei risultati immediati, di cui il premier è vittima e promotore al tempo stesso, favorisce i colpi ad effetto il cui successo ha un’influenza diseducativa sul pensiero collettivo perché scoraggia il ragionamento lucido, ponderato. Tolto il loro impatto emotivo, le deduzioni di Renzi sul giudizio di Mineo sono prive di fondamento. Dire di un adulto che si comporta come se fosse un bambino autistico non comporta di per sé un giudizio discriminatorio nei confronti dei bambini che non comunicano con il loro ambiente, come dire che uno ha un rapporto geometrico con i propri sentimenti non implica un disprezzo verso Euclide. In entrambi i casi le critiche hanno valore metaforico e tendono a mettere in evidenza un funzionamento psichico ingiustificato oltre che improprio. A voler essere precisi, è Renzi che, involontariamente, offende i bambini autistici spostando su di loro un giudizio sprezzante rivolto a lui.

«Autistico» è definito chi si chiude in sé stesso e vive isolato dal mondo. Ci sono dei bambini che vivono in queste condizioni non per loro libera scelta e decisione ma per complessi, e in parte ignoti, motivi che li costringono. La loro definizione diagnostica come soggetti autistici non è, apparentemente, discriminatoria ma la fredda obiettività con cui osservandoli dall’esterno li chiudiamo in un recinto (che ignora la loro prospettiva) intensifica il loro isolamento. Dire che un adulto non disabile è autistico, che si comporta come un bambino isolato dal mondo senza esserci stato, quindi con una sua autodeterminazione di cui dovrebbe assumere la responsabilità, ha tutt’altro significato: è un’accusa di disumanità.

L’espressione usata da Mineo è ingiusta e controproducente: rientra nell’eccesso di passione, tipico delle relazioni private (soprattutto coniugali), che nel dibattito pubblico raddoppia il suo potenziale logorante e alza un muro di reciproca incomunicabilità. La reazione retorica di Renzi è la risposta peggiore. All’eccesso di passione si risponde accogliendo (come e dove è possibile) il desiderio di confronto sottostante e non annullando la profondità del coinvolgimento con la superficialità delle facili impressioni. La condizione di disabilità e le lacerazioni inevitabili delle nostre relazioni pubbliche e private hanno una cosa in comune: l’incompatibilità con l’ipocrisia con cui cerchiamo di camuffarle trasformandole in questioni di correttezza formale.