Le università pubbliche argentine hanno inaugurato martedì quel che evidentemente sarà un nuovo autunno caldo di proteste a Buenos Aires. In piazza più di mezzo milione di persone contro i tagli disposti dal governo di Javier Milei al finanziamento delle 56 università pubbliche di tutto il paese, orgoglio della società argentina sin dagli albori del XX Secolo. «Io Milei l’ho votato perché aggiustasse l’inflazione, non perché distruggesse l’istruzione pubblica», dice, un po’ sottovoce, un impiegato pubblico mentre infila l’Avenida 9 de Julio in direzione al corteo.

QUELLO DI MARTEDÌ rappresenta un punto di inflessione a quattro mesi di governo liberal-libertario. I più anziani hanno comparato le immagini della marcia di Buenos Aires con la famosa multipartidaria del 1982, che obbligò la dittatura dei generali a indire elezioni democratiche l’anno seguente. Il filo conduttore sarebbe proprio la trasversalità della mobilitazione, cosa che non si vedeva da decenni nell’Argentina intrappolata nella lotta tra peronisti ed antiperonisti: alla testa del corteo i rettori e decani delle facoltà pubbliche, seguiti da docenti, ricercatori, ausiliari, e poi l’imponente movimento studentesco. A seguire praticamente tutto l’arco politico argentino, dalla sinistra trotzkista al centrodestra dei Radicali.

«L’ESSENZIALE È INVISIBILE al presidente»; «Studio per non prendere consigli da un cane morto», in riferimento ai dialoghi che il presidente dice di mantenere col suo mastino Conan, morto e clonato nel 2017; e «Senza scienza non c’è clonazione», sono alcuni degli slogan più gettonati sui cartelli che hanno sfilato per le strade di Buenos Aires e, all’unisono, nella maggior parte delle città argentine. Gli organizzatori avevano invitato i manifestanti a portare un libro con loro al corteo. La Costituzione è stato sicuramente quello più scelto, insieme ai libri di Eva Perón e alcuni di John Maynard Keynes, i due più odiati nemici ideologici del presidente argentino.

ANCHE IL TENTATIVO del governo di far passare quella di martedì come una manifestazione strumentalizzata dall’opposizione è andato a vuoto. «Sono sindacalisti travestiti da studenti», ripetevano sui social i seguaci di Milei. La strategia del presidente nei confronti del budget universitario segue la stessa ricetta applicata alle pensioni e i fondi destinati ad altri enti pubblici, popolarmente definita come «liquefazione»: il governo mantiene invariati i valori della dotazione stabilita dalla finanziaria del 2023, e l’inflazione – schizzata al 287,9% su base annua – fa il resto. Si stima che con questa strategia, accompagnata dal famoso “piano motosega” con cui sono già stati licenziati 24mila impiegati pubblici, le università hanno dovuto ridurre del 72% il proprio bilancio.

LA MAGGIOR PARTE delle facoltà è già ricorsa a misure drastiche: dall’eliminazione di borse di studio e programmi di ricerca, alla disconnessione totale dal sistema elettrico di notte per risparmiare sulle bollette. In vista dell’inverno in arrivo, i decani prevedono di non poter neppure accendere il riscaldamento, mentre secondo il Consiglio Nazionale Interuniversitario il budget attuale obbligherebbe la maggior parte delle università a chiudere entro giugno.

L’università argentina è pubblica e totalmente gratuita. Non si pagano tasse né iscrizioni, e durante un secolo è stata il principale strumento di mobilità sociale del Paese, che vanta una delle classi medie più numerose dell’America Latina. L’Argentina è il paese latinoamericano col maggior numero di premi Nobel, e con la maggior concentrazione di universitari per ogni 10mila abitanti della regione. Le politiche ultraliberiste applicate negli anni novanta hanno colpito duramente il sistema educativo argentino, definanziato a favore del settore privato, un degrado da cui però l’università pubblica è rimasta indenne. Oggi è una delle istituzioni col maggior prestigio del Paese, il che spiega anche il sostegno generalizzato ricevuto questo martedì.

GLI ATENEI ARGENTINI hanno aperto così una stagione di lotte che si preannuncia molto calda. Poche ore prima del corteo, il presidente Milei ha annunciato a reti unificate il raggiungimento dell’agognato obbiettivo del deficit zero grazie al suo piano fatto di tagli e austerity. Il prezzo però è altissimo: nel primo trimestre 2024 i salari hanno perso in media il 20% del potere d’acquisto, le pensioni decurtate del 37% e i sussidi ai settori più deboli ai minimi storici. L’azzeramento del deficit lo hanno pagato dunque pensionati, lavoratori e disoccupati, che il prossimo 9 maggio scenderanno nuovamente in piazza per il secondo sciopero generale indetto dalle centrali sindacali contro il governo di Milei.