«Il primo settembre prenderemo Caracas». L’opposizione venezuelana scalpita per seguire la via brasiliana e argentina e rinnova i propositi bellicosi. Dal dicembre scorso, quando è risultata maggioritaria alle elezioni parlamentari, ha promesso di «far cadere il governo in sei mesi», e i tempi sono scaduti. Con la maggioranza parlamentare, la Mud (Mesa de la Unidad Democratica) avrebbe potuto proporre un pacchetto di proposte benefiche per il paese. Ma il progetto politico non è mai stato il punto forte dell’alleanza di opposizione, che guarda più all’esterno e ai propri affari che al bene del paese.

Gli allarmi sulla «crisi umanitaria» (smentita dagli organismi competenti come la Fao e la Cepal) o l’uso di un linguaggio di guerra per chiedere «corridoi umanitari», servono a propagare il format di un «paese fallito», che ha bisogno di essere messo sotto tutela dagli organismi internazionali. Un mantra ripreso dai grandi media internazionali. Il principale cavallo di battaglia della Mud resta il referendum revocatorio per liberarsi del presidente Nicolas Maduro.

La Costituzione bolivariana prevede la possibilità di revocare ogni carica eletta a metà mandato, seguendo però i passi definiti dalla legge. E su questo punto la Mud ha aperto lo scontro per saltare le tappe e recuperare il ritardo con cui ha deciso di mettere in moto il meccanismo. Tibisay Lucena, presidenta del Consejo Nacional Electoral (Tsj), ha indetto una conferenza stampa per chiarire i passaggi e l’agenda del referendum revocatorio, che ha scatenato un grosso dibattito, anche nell’area del cosiddetto chavismo critico (i fuoriusciti dal Psuv che si esprimono sul portale Aporrea).

La prima fase di raccolta delle firme (l’1% necessario per mettere in moto il meccanismo) si è conclusa. Il procedimento di verifica pubblica, controllato da entrambi gli schieramenti, ha evidenziato una frode di ampie proporzioni: non solo hanno votato anche i morti, i bambini e i capi-cosche, ma cittadini ignari e gruppi di operai che hanno denunciato di essere stati portati a forza ai tendoni della Mud. Molti procedimenti legali sono stati aperti.

L’inizio della seconda fase d’avvio del referendum prevede di raccogliere le firme di almeno il 20% degli aventi diritto. Lucena ha detto che potrà essere organizzata «per la fine di ottobre». Qualora il quorum venga raggiunto, il referendum vero e proprio si realizzerà «90 giorni dopo l’autentificazione delle firme raccolte». Stando così le cose, il revocatorio non potrà aver luogo prima del 2017. Secondo la Costituzione, se il referendum si svolge entro il 10 gennaio – all’inizio del quarto anno di mandato di Maduro – e il presidente lo perde, si devono indire nuove elezioni. Se invece si va oltre quella data, e Maduro perde il referendum, sarà il vicepresidente Aristobulo Isturiz ad assumere l’incarico e a terminare il mandato fino al 2019. Lucena ha ribadito che il Cne ha il compito di far rispettare le procedure e che «premere sul potere elettorale e sui suoi funzionari sarebbe solo un tentativo di torcere il braccio alla via istituzionale».

Ma la Mud ha anche un problema di leadership. Ognuna delle componenti spinge per accreditarsi verso l’esterno. E così, l’ex candidato presidenziale Henrique Capriles (sconfitto prima da Chavez e poi da Maduro) ha lanciato per primo la campagna per «prendere Caracas» a partire dal 1 settembre, e accusato il Cne di voler «creare una situazione sommamente pericolosa». La Mud sa che deve fare in fretta, il tempo non gioca a suo favore. Il Venezuela è una repubblica presidenziale basata sull’assoluto equilibrio di cinque poteri. Impossibile, quindi, immaginare un impeachment alla brasiliana.

Da Miami, le componenti più estreme moltiplicano così gli appelli ai militari per una soluzione più spiccia. Si preme sui grandi terminali all’estero per screditare il governo all’interno degli organismi internazionali: attraverso l’Organizzazione degli stati americani (Osa) e nel Mercosur, dove i tre paesi neoliberisti (due dei quali, Paraguay e Brasile, frutto di presidenze illegittime) cercano di scippare la presidenza pro-tempore dell’organismo al Venezuela.

Maduro però tiene botta e cerca di sfuggire alla tenaglia, nonostante gli attacchi concentrici sferrati al suo governo sia a livello interno che internazionale e finanziario. Il Psuv resta il partito più votato e la sua capacità di mobilitazione rimane alta, come dimostrano le manifestazioni di sostegno organizzate da tutti i settori popolari. Nonostante la drastica caduta del prezzo del barile, Maduro non ha tagliato il bilancio destinato alla spesa sociale, anzi. E il sabotaggio dei poteri forti, che ha prodotto e organizzato una rete di strozzinaggio nei quartieri poveri per creare scontento e caos, non ha sortito risultati. Benché stremato da lunghe code e avvilito dalla tracotanza di commercianti e trafficanti che vendono prodotti calmierati a prezzi stellari, il popolo venezuelano, finora, non ha sbagliato bersaglio.