Il primo convoglio è partito nel primo pomeriggio, il secondo in serata: gli autobus verdi fatti arrivare dal governo due giorni fa ad Aleppo est, poi tornati indietro per lo stallo nell’accordo con le opposizioni, ieri si sono ripresentati. Mille miliziani anti-Assad sono saliti a bordo. Hanno lasciato la città dopo anni di guerra civile e mesi di assedio interno e esterno.

Nel distretto di al-Rashidin 4 i miliziani hanno cambiato mezzo di trasporto per partire definitivamente alla volta di Idlib, provincia nord-occidentale che dal 2015 è controllata dall’ex al-Nusra, l’attuale Jabhat Fatah al-Sham, e dalle milizie che gli ruotano intorno.

Ha così preso il via l’evacuazione di 5mila miliziani e delle loro famiglie da Aleppo est, come previsto dall’accordo (il secondo in due giorni) siglato dalla Russia e dai gruppi armati con la mediazione della Turchia attraverso la Mezzaluna rossa turca. Dopo la rottura della prima tregua e i raid e scontri che ne sono seguiti, 20 autobus sono già partiti. La tv di Stato siriana mostrava le immagini di un lungo convoglio attraversare il ponte di Ramouseh per poi dirigersi nelle zone rurali verso Idlib.

Accanto ai bus ci sono le ambulanze: secondo quanto stabilito, i primi ad uscire dai quartieri orientali sono i feriti, a cui seguiranno malati e bambini. Ma nessuno dà certezze: l’evacuazione riguarderà solo i miliziani e i loro familiari o si accompagnerà allo sradicamento dei residenti di Aleppo est? Secondo quanto riportato ad al Jazeera dal giornalista indipendente Zouhir al-Shimale, «ai civili è data la scelta di restare o andarsene: se resteranno finiranno sotto il controllo del regime e molti se ne vanno per paura di potenziali massacri».

L’esercito russo ha dato alcuni numeri: nell’ultimo mese sono usciti dai quartieri orientali 108mila civili (50mila per l’Onu), mentre 3.033 ribelli si sono arresi. A 1.524 di loro è stata garantita già l’amnistia. Ma è sui civili che si gioca da giorni, da mesi, la battaglia della propaganda, stampella della guerra vera e propria. Il grido di inumano dolore della popolazione di Aleppo è stato costantemente filtrato dalle parti a seconda delle esigenze e riuscire ad avere informazioni reali dal mattatoio a cui la città è stata ridotta è quasi impossibile.

Fonti parlano di case date alle fiamme dagli stessi proprietari per evitare futuri saccheggi da parte dei pro-governativi, altri di festeggiamenti da parte di chi non è mai stato a fianco delle opposizioni. A monte una divisione radicata da sei anni di guerra civile, una frammentazione politica e sociale che richiederà decenni per essere ricucita, senza tener conto del ruolo che avranno le interferenze esterne, già devastanti.

E anche i convogli diventano ragione di violenza: fonti locali hanno riportato di colpi di arma da fuoco sparati ieri mattina contro una delle 20 ambulanze pronte per l’evacuazione dei miliziani. Secondo il fronte anti-Assad si è trattato di un’azione di combattenti iraniani, schierati con Damasco; il versante opposto accusa gruppi armati intenzionati a boicottare il trasferimento dei “ribelli”. Interviene anche l’Onu: martedì ha accusato il governo di aver ucciso 82 civili e le opposizioni di impedire alla gente di andarsene per poterla usare ancora come scudo.

Centrale è in tal senso il ruolo che giocano nella guerra le forze schierate con Assad, da Hezbollah ai pasdaran iraniani fino alle milizie sciite irachene. Fino ai russi: con l’intervento di Mosca il governo ha potuto lanciare l’offensiva finale, preceduta da una serie di vittorie nel resto della Siria e dai conseguenti accordi di evacuazione con le opposizioni, da Daraya a al-Waer.

Ma restano ancora numerose le comunità che vivono assedi simili, a partire dai villaggi sciiti di Fua e Kafraya e dalla città di Zabadani, al confine con il Libano. Non a caso le milizie sciite pro-governative hanno chiesto che i due villaggi fossero parte dell’accordo su Aleppo: ieri alcune ambulanze hanno cominciato l’evacuazione di civili feriti dalle due comunità.

Sono comunità che ricordano a tutti che la guerra, nonostante Aleppo (dove però resteranno sacche islamiste, i gruppi che non hanno aderito all’evacuazione, a partire dall’ex al-Nusra), non è finita: ci si aspetta una ripresa degli scontri nei sobborghi di Damasco dove islamisti e salafiti sono ancora arroccati, senza dimenticare Raqqa sotto l’Isis e Idlib sotto Fatah al-Sham. Lo ha ribadito ieri anche il vice segretario di Hezbollah, Sheikh Naim Qassem: «La liberazione di Aleppo non significa la fine del terrorismo», ha detto in riferimento ai gruppi anti-Assad.

Il governo non controlla tutto il paese e le violenze non cesseranno. Dopotutto gli stessi accordi di evacuazione non si fondano sulla volontà di un negoziato politico né sulla riconciliazione interna.