Compie dieci anni il format ideato da Francesco Magnelli, prima sotto forma di un album a nome di Ginevra Di Marco e poi come spettacolo itinerante con al centro proprio la figura della cantante fiorentina. Stazioni Lunari – che ha fatto tappa a Roma all’interno del festival Luglio Suona Bene nella Cavea dell’Auditorium, è un vero e proprio caravanserraglio musicale che si muove fra stili, personalità e anche differenze, in cui ogni artista interviene con il suo repertorio ma può inserirsi con contrappunti , strumentali e vocali, interagendo con quanto accade sul palco nel segno di una libera improvvisazione. Per il decennale, Stazioni lunari si è regalato due serate speciali – la prima nello spazio all’aperto capitolino e una seconda prevista il 21 luglio al Carroponte di Milano.

E così in una vera «prima» hanno interagito con Ginevra Di Marco, che ha fatto gli onori di casa, e Magnelli, il giovane cantautore calabrese Brunori Sas, tre ex membri dei Csi ovvero Gianni Maroccolo, Maurizio Zamboni e Giorgio Canali, Max Gazzè e per la prima volta in assoluto, Carmen Consoli. Ospiti su tre pedane che circondano idealmente la «padrona di casa», coreografia essenziale ma curatissima, quattro colonne illuminate da giochi di luce e lo spettacolo inizia. L’idea di fondo è trovare affinità fra la tradizione popolare, il rock e il pop e ci si riesce (quasi) sempre per tutta la durata dello show.

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Uno scambio che è anche voglia di una partecipazione collettiva, e così a Ginevra Di Marco e al suo canto pieno e potente sulle note di una canzone di Leo Ferrè Les tziganes, risponde il garrulo incedere di Brunori Sas che riesce a far convogliare in canzoni apparentemente nonsense spaccati del belpaese in crisi, come nella storia della protagonista di Rosa: «non piangere dai anch’io mi voglio sposare è che senza un lavoro non si tira a campare. Devo prendere il treno per andare a Milano, a Torino, a Bologna insomma devo scappare, che qui in Calabria non c’è niente».

Ancora nozze, ma decisamente in un’atmosfera sinistra, quelle raccontate da Carmen Consoli in Fiori d’arancio con: «l’abito bianco di seta ed organza, fiori d’arancio intorno all’altare, aspettavo il mio sposo con devozione». Atmosfere vibranti e taglienti, è Tabula rasa, le voci e soprattutto il muro di suono degli ex Csi con Ginevra e Carmen ad alternarsi e sovrapporsi nei cori. E se è un gioco giusto che in scaletta accanto a pezzi di storia del rock italiano faccia da contrasto il pop di Gazzè che con ironia commenta: «lasciate sempre a me il compito ingrato…» per poi attaccare coinvolgendo la cavea con la frivola leggerezza della hit invernale La vita com’è.

Testi, giochi e musica, poche sbavature in una celebrazione della musica popolare che parte dal nostro passato e arriva ai nostri giorni, tra alto e basso. Si chiude sulle note della Malarazza ricavata da Modugno su un testo siciliano di metà ottocento, prima del lungo bis e la catarsi su un pezzo storico dei Csi, Fuochi nella notte. Perché «così vanno le cose e così devono andare…».