Nel leggerlo, Francesco I di Valois-Angoulême, re di Francia, ne fu folgorato, e subito lo fece tradurre in francese: quel libro italiano, un distillato della cultura rinascimentale, lo aveva conquistato. Vi si insegnava una diversa idea di distinzione, basata sulle nuove virtù cortigiane e cioè non solo più arte militare e caccia ma classici latini e greci, ballo, nozioni di matematica e, soprattutto, arte della conversazione. Essa però doveva tradursi in una grazia naturale, apparentemente senza sforzo, segreto della piacevolezza del vivere, riassunta in un termine che avrebbe fatto epoca: la sprezzatura. Francesco I aveva visto giusto: il successo del Cortegiano di Baldassarre Castiglione, pubblicato a Venezia nel 1528, sarebbe stato travolgente: tradotto in tutte le principali lingue europee, ebbe nel corso del secolo ben quarantacinque edizioni italiane.

Di quest’opera così cruciale, ma che allo stesso tempo non fa parte – per ragioni che vedremo – del canone letterario nazionale, oggi sappiamo tutto: grazie ad Amedeo Quondam, che corona una ventennale esperienza di ricerca su Baldassarre Castiglione e il suo mondo intellettuale curando un’opera monumentale di ricostruzione del percorso del testo: Il libro del Cortegiano (2 voll. L’autore (e i suoi copisti), l’editor, il tipografo. Come il Cortegiano divenne un libro a stampa, Bulzoni, pp. 483-558 e 634; i tre volumi indivisibili, euro 150).

Verso la stampa

La ragione di questo straordinario lavoro di scavo erudito, meticoloso al punto da risultare insieme affascinante e estenuante, non sta solo nel fatto che Il Cortegiano è stato uno dei grandi libri della cultura rinascimentale e un fondamentale tramite della sua diffusione europea (come dimostrato da Peter Burke con il suo volume sulla fortuna continentale dell’opera) ma anche, e soprattutto, nella straordinarietà della documentazione.
Dell’opera di Castiglione si possiedono infatti ben cinque manoscritti che permettono di ricostruire in dettaglio la vicenda del suo farsi libro a stampa. Uno tra essi, l’ultimo, è una vera e propria precocissima e preziosissima bozza tipografica che «conserva nelle sue carte i segni della lavorazione, quelli a secco per il computo delle battute da comporre per ciascuna forma e persino le impronte digitali lasciate dalle mani sporche d’inchiostro dei tipografi».

Grazie a questo eccezionale materiale documentario, senza paragoni in nessun altro grande classico di quel periodo, è possibile a Quondam un’analisi ravvicinata, e si sarebbe tentati di dire in vitro: vengono cioè analiticamente ricostruiti, con risultati nient’affatto scontati, i vari passaggi che conducono dalla prima stesura, interamente di mano del Castiglione all’edizione princeps, l’Aldina veneziana in folio del 1528. L’analisi di Quondam rivela infatti quanto la nostra concezione di un libro che coincide sostanzialmente con la creazione autoriale di un testo sia limitativa. Il Cortegiano appare infatti, per molti aspetti, un’opera collettiva: tra il primo manoscritto e lo stampato si possono contare circa trentamila interventi, di cui quelli di mano del Castiglione sono una minoranza. Sicché la domanda è lecita: chi ha scritto il libro del Cortegiano?

16CLT1Raffaello,_giuliano_de'_medici
[object Object]

La risposta di Quondam è che un testo si trasforma in libro attraverso un processo dinamico, che coinvolge «soggetti e competenze diverse e non sempre in solidale e collaborativo rapporto con l’autore». Vi sono prima di tutto i copisti, che intervengono sul testo con errori o omissioni ma anche con tentativi di uniformazione. Segue poi il lavorio sul testo svolto da Giovan Francesco Valier, incaricato dallo stesso Castiglione di un trattamento che oggi diremmo di editing. Non si tratta, si badi, di qualche virgola o accento: ma di migliaia di interventi di normalizzazione fonomorfologica, particolarmente interessanti in un periodo in cui il volgare eloquente stava formalizzando una sua grammatica.

Un libro multiplo

Castiglione mostra, nella sua corrispondenza, di essere consapevole dell’instabilità linguistica del suo testo, in un’epoca di sviluppo di tanti volgari regionali italiani, e della conseguente necessità, sottolineata in una lettera a Pietro Bembo (amico dell’autore e personaggio del testo, destinato a rappresentarvi la migliore espressione del platonismo rinascimentale) di utilizzare la «fatica di un altro», per correggere le tracce «lombarde» – Castiglione era mantovano – del suo linguaggio.
E infine vi sono gli interventi degli addetti di tipografia. Siamo abituati a pensare che la composizione coi piombi sia un lavoro minore, subordinato e dipendente dal testo: in realtà, il caso de Il Cortegiano rivela che non è proprio così. I lavoranti di tipografi intervengono infatti autonomamente, «interpretando» il testo e normalizzando i termini per come gli «detta la nativa et continuata favella loro». In breve: la composizione tipografica come traduzione e anzi come interpretazione.

Se fino ad adesso si è portata una scarsa attenzione all’analisi del percorso di un manoscritto nel suo farsi libro a stampa, ciò dipende – osserva Quondam – da un tradizionale privilegio del testo (eredità dalla tradizione idealistica) considerato come creazione autoriale irrelata dal supporto tipografico che lo sostiene e attraverso cui comunica col lettore. La tradizione di studi italiani appare perciò arretrata rispetto alla storia del libro à la Chartier o alla Textual bibliography anglosassone. Mentre il case study de Il Cortegiano, qui tratteggiato, merita di stare a fianco di altre importanti operazioni di storia del libro, da quelle relative ai grandi drammi di Shakespeare a quelle che hanno interessato il Don Chisciotte di Cervantes. E nel delineare la vicenda di una prima generazione di scrittori nativi tipografici, suggerisce spunti assai suggestivi per chi, come i lettori odierni, vivono una nuova epoca di trasformazione, col disancoraggio dei testi digitali dal loro tradizionale supporto fisico. Molto prima che Wu Ming facesse la sua apparizione, agli albori della grande stagione del libro a stampa, lo statuto dell’autore appare suggestivamente multiplo e collaborativo.

Alterne fortune

Il disinteresse mostrato sinora per la eccezionale vicenda editoriale de Il Cortegiano ha però anche altre radici, che attengono a una certa sfortuna del testo, e in sostanza alla succitata mancata integrazione nel canone nazionale. Ne è direttamente responsabile la storiografia di stampo nazionalistico che ha visto ne Il Cortegiano un modello di asservimento del virtuoso, il letterato o saggio di corte, e in sostanza l’intellettuale, al potere dispotico (di cui è sintesi espressiva il grido del Rigoletto: Cortigiani vil razza dannata!) e quindi, in ultima analisi, alla deprecata dominazione straniera. Prima che ciò avvenisse, però, la cultura barocca aveva già avvertito come inadeguato quel testo, rispetto alle mutate esigenze della politica seicentesca. In una famosa scena de El Criticón di Baltasar Gracián, Andrenio e Critilo, i due personaggi del romanzo, avvicinandosi nel loro peregrinare alla corte, si recano in una libreria e individuano un libro, un galateo cortigiano che spiegava come comportarsi opportunamente in quella realtà.
Il libraio, però, preso in mano il libro (e possiamo ben immaginare che Gracián pensasse a Il Cortegiano nella traduzione spagnola di Boscán, 1534) li avverte che le massime di quel testo, invero ammirevoli all’epoca dei buenos hombres e della cortesia, oggi che i tempi sono cambiati, non valgono più niente, tranne forse se ci si comporta in modo opposto a ciò che esse insegnano.

SCHEDA

Passaggio fondamentale di una radiografia dello stato dell’arte rinascimentale, le Lettere famigliari e diplomatiche di Baldassare Castiglione verranno per la prima volta tradotte a settembre da Einaudi, per la cura di Angelo Stella, Umberto Morando, Roberto Vetrugno. Grande riferimento letterario del suo tempo, insieme all’amico Pietro Bembo, Castiglione aveve intrapreso la carriera ecclesiastica dopo essere rimasto vedovo nel 1520 (era nato nel 1478, a Casatico, nel mantovano, in una nobile famiglia imparentata con i Gonzaga). Tra i suoi incarichi politici, il più influente fu quello di nunzio apostolico presso la corte di Carlo V a Madrid, proprio in quegli stessi anni complicati che portarono al Sacco di Roma.  Il libro del Cortegiano, di cui parla questa pagina, è il suo testo più famoso, un trattato in forma di dialogo scritto negli anni Dieci, riscritto e pubblicato nel 1528 a Venezia, il cui successo – fu uno dei libri più venduti nel sedicesimo secolo – non venne goduto dall’autore, che morì di peste, a Toledo, l’anno dopo la pubblicazione. Le Lettere riveleranno come Baldassarre Castiglione stesse cercando di fissare un italiano più naturale, più «moderno» di quello comunemente affidato ai testi scritti del suo tempo, e più permeato dai dialetti, ciò che invita a leggerle anche come un esempio della forza espressiva del volgare, distante dal modello che Bembo aveva imposto in tutta Italia.